Palermo, 19 luglio 1992. E’uno di quegli assolati pomeriggi siciliani, quando Paolo Borsellino preme il pulsante del citofono della palazzina dove abita l’anziana madre. Ma prima che lei arrivi a premere quello dell’apriporta, qualcun altro spinge il pollice su un altro pulsante, provocando l’inferno in via D’Amelio, con l’uccisione del giudice e dei ragazzi della scorta. Lei pensa subito ad una fuga di gas. E comincia a scendere le scale a piedi scalzi, per quei gradini pieni di pezzi di vetro, a causa delle finestre andate in frantumi. Ma non si ferisce. Per ultimo passa accanto ad un cadavere carbonizzato a cui mancano le gambe, finite chissà dove. Per fortuna non lo vede. Già, per fortuna, perchè quello è suo figlio Paolo. Un vigile del fuoco la prende in braccio e la porta in ospedale.

Qualcuno con un megafono avverte di far attenzione a non pestare resti umani per la strada, mentre i carabinieri raccolgono in una scatola da scarpe i resti della pelle di Emanuela Loi, unica donna della scorta, riconosciuta grazie alle lentiggini e ai capelli biondi.
Intanto, dalla parete esterna della palazzina qualcosa si stacca e cade giù. Non è intonaco. Quando si avvicinano, si accorgono con sconcerto che si tratta di un pezzo di cervello.
Salvatore Borsellino, si disse più volte convinto che ad impedire alla madre la visione del corpo del figlio ridotto in quello stato, fosse stato lo stesso Paolo Borsellino: “Sono convinto che sia stato mio fratello a chiuderle gli occhi con la mano”.
Una strage del genere non si può dimenticare, non soltanto per la barbarie e la feroce violenza, ma anche perché, dopo19 anni, i veri mandanti non hanno ancora un volto. Anche se non si è certo rimasti con le mani in mano. Oggi si è vicini alla verità. E alle persone oneste non rimane che difendere i magistrati (osteggiati e oltraggiati, ma ancora vivi!) che stanno indagando e che si trovano finalmente ad un punto di svolta.

Allora forse non è più tempo di commemorazioni, di ghirlande istituzionali, di bei discorsi intrisi di retorica, di solidarietà dovute.
Non è più tempo di finti entusiasmi al servizio di una legalità che non disturbi nessuno.
Non si può più far finta di nulla.
Oggi, più che mai, bisogna decidere da che parte stare, senza cadere nella facile trappola delle appartenenze politiche, ormai ridotte ad una tifoseria da stadio che prescinde da ogni contenuto.
Oggi più che mai non c’è più nulla da commemorare. C’è semmai da impedire a tutti i costi che i magistrati che stanno arrivando alla verità possano essere sopraffatti da quello stesso isolamento che in passato finì per distruggere sia Falcone che Borsellino. Andare in via D’Amelio il 17, 18 e 19 luglio non può che avere questa valenza.

Egidio Morici
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