La sesta sezione della Corte d’appello di Palermo ha condannato a 20 anni per associazione mafiosa il capomafia latitante Matteo Messina Denaro e 12 anni Giuseppe Grigoli, ex gestore dei supermercati Despar in Sicilia occidentale, ritenuto prestanome del boss di Castelvetrano.

L’imprenditore, secondo l’accusa, avrebbe messo a disposizione di Cosa nostra, al fine di consentirne l’ulteriore espansione economica, la sua catena di negozi, finanziando la mafia.

Entrambi erano già stati condannati in primo grado dal tribunale di Marsala che aveva disposto la confisca dei beni sequestrati a Grigoli tra il 2007 e il 2008 (dodici società, 220 fabbricati, 60 ettari di terreno e uno yatch).

Beni il cui valore complessivo è stato stimato in 700 milioni di euro.

Parte Civile

Unica parte civile è l’Associazione antiracket e antiusura di Trapani, presieduta da Paolo Salerno e rappresentata dall’avvocato Giuseppe Novara che ha dichiarato: “E’ un momento importante per distinguere tra l’imprenditore vittima e quello colluso. Sulla base degli atti processuali, granitici e corposi, emerge che Grigoli e un imprenditore colluso che ha attivato una rete aziendale con i soldi di Cosa Nostra, traendone vantaggio.

Le risultante processuali dimostrano che la mafia gestiva appalti e condizionava il tessuto produttivo, in collaborazione anche con persone e professionisti insospettabili, con grave pregiudizio della libertà di iniziativa imprenditoriale, ostacolando di fatto l’attuazione dell’articolo 41 della Costituzione”

La Difesa

Antonello Denaro, uno dei legali di Grigoli parla di un imprenditore che «ha pagato il pizzo», ragion per cui ha chiesto l’assoluzione del suo assistito. Nel 1974, Grigoli, all’epoca titolare di un centro di distribuzione di detersivi all’ingrosso, subì un attentato incendiario, opera del racket.

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