L’arresto di Massimo Ciancimino ha scatenato, come era immaginabile e legittimo, una ridda di commenti e di prese di posizione, più o meno autorevoli, più o meno informate.

Noi magistrati siamo abituati ai giudizi dei molti che sembrano saperla lunga sulle nostre indagini ed invece dimostrano di conoscerne poco. Il vecchio vizio italiano di sentenziare senza sapere di cosa si parla ci lascia indifferenti.

E poi, per carità, abbiamo il massimo rispetto del diritto di critica, anche la più aspra e spietata. Dispiace, però, che ai lettori debbano arrivare opinioni, spesso non solo faziose, ma anche così poco informate.
E quindi, nei limiti di quel che un magistrato può dire sulle indagini di cui si occupa, alcune certezze meritano di essere ribadite per farle conoscere ai lettori e ai (troppi) soloni.

In primo luogo, la Procura di Palermo non ha mai accreditato Massimo Ciancimino come icona dell’antimafia.
Anzi, io personalmente ho messo in guardia dal rischio che egli lo divenisse. Basta leggere cosa ho scritto su di lui per rendersene conto. Abbiamo sempre tenuto un atteggiamento di grande rigore e prudenza, e perciò ritenevamo (e riteniamo) utilizzabili le dichiarazioni di Ciancimino solo nella parte in cui sono frutto di conoscenza personale e confermate da puntuali riscontri obiettivi. Le altre sono sempre state accantonate, come quelle sul fantomatico «quarto livello». In questo recente caso, si sono acquisiti, a nostro parere, elementi di prova di un grave reato di calunnia, ed avevamo il dovere di procedere, come abbiamo fatto.
In secondo luogo, la cosiddetta “trattativa Stato-mafia”, sviluppatasi dal ’92 in poi, non è una favola inventata da Ciancimino. È, al contrario, una certezza processuale.

Accertata da Corti d’Assise e consacrata in sentenze definitive. Le dichiarazioni di Ciancimino si sono soltanto aggiunte ad un complesso probatorio di ben consistenti elementi costituiti da dichiarazioni di attendibili collaboratori di giustizia, testimoni autorevoli ed elementi di riscontro che fanno affermare che una trattativa certamente ebbe inizio. Quello che va verificato è quale sia stato l’esito di questa trattativa, se venne conclusa e chi ne furono gli artefici, mediati ed immediati, e quali, eventualmente, le conseguenti responsabilità penali.
Sollevare un polverone, confondere le cose già accertate con quelle ancora da accertare, le calunnie con le verità, semplificare, riducendo tutto alla questione se Massimo Ciancimino fosse affidabile è fuorviante nei confronti dell’opinione pubblica ed offensiva nei confronti di chi questa indagine, senza supponenza e fra mille difficoltà, sta portando avanti in più di una procura d’Italia. La gravità della vicenda oggetto dell’indagine merita, credo, senso di responsabilità da parte di tutti. Meglio informarsi prima di sparare giudizi drastici a casaccio. Ne hanno diritto gli italiani, ne hanno diritto le vittime di quella terribile stagione, la stagione delle stragi, ma anche la stagione di quella irresponsabile trattativa.


Antonio Ingroia
(per “L’Unità” del 24 aprile 2011)

AUTORE.   Antonio Ingroia