Ma non voglio avventurarmi in analisi sociologiche né – Dio me ne guardi – propugnare l’abolizione o la trasformazione delle tradizioni religiose concernenti la Settimana Santa.

Vorrei solo riflettere sulla necessità di superare appunto la suggestione, verso la radicale e coinvolgente assunzione di responsabilità che deriva dalla fede nella morte e resurrezione di un uomo che disse di essere Dio. Si tratta di fare davvero Pasqua, di “passare” cioè da un fideismo accomodante alla trasformazione interiore che capovolge tutto il sistema di valori basato sulla logica del successo e dell’apparire.

Ma per arrivare a questo, non me ne voglia il vescovo (emerito) Micciché, non serve far togliere un cappuccio o accorciare una “annacata”, sentiamo la necessità di testimoni coerenti, di annunciatori fedeli della Parola. Molti preti hanno creduto che bastasse alla loro missione il fatto di apparire aggiornati, di “piacere”, di essere simpatici, mentre ciò di cui gli uomini (e i giovani, soprattutto) hanno bisogno è di sentire qualcuno che proclami loro la Verità, anche se scomoda e difficile. Di questo abbiamo bisogno in particolare noi Siciliani, così bravi nel rabberciare, nel mediare, nel giustificare; così insuperabili nell’arte del compromesso; così ostinatamente presuntuosi nel pensare di essere sempre i migliori perché abbiamo capito tutto, e così tragicamente “isole”. “Sia il vostro parlare sì, sì; no, no. Tutto il resto viene dal maligno”: è questo che dobbiamo imparare.

Per tornare alle cose nostre, i riti della settimana santa hanno costituito, da sempre, occasione di pubbliche celebrazioni di pietà nel popolo castelvetranese.
Se la processione del venerdì santo accomuna Castelvetrano a tanti altri centri siciliani, la funzione dell’Aurora che si tiene la mattina di Pasqua, costituisce uno specifico e quasi una sorta di prerogativa della nostra città, anche se, per la verità, in molti altri centri della Sicilia si celebra l’incontro fra il Cristo risorto e la Vergine Maria.
Ma la nostra particolarità, oltre nel nome di Aurora – che di là dal connotare l’ora mattutina in cui si svolge, ha un evidente significato propiziatorio relativo al senso cristiano della Pasqua -, consiste anche nel ruolo di messaggero ricoperto qui da un angelo, e al volo di colombe che al momento dell’incontro, liberate da un meccanismo che fa scivolare il mantello nero di Maria, si scioglie nel cielo primaverile.

continua..

AUTORE.   Francesco Saverio Calcara