Castelvetrano, contrada Torre di Seggio Staglio, mattina di primavera del 1946. Giuseppe Di Stefano, chiamato “u Barune di Sciacca”, si è svegliato presto perchè deve andare a caccia, ma la cacciagione quel giorno aveva un fuso orario diverso. Anche i suoi cani si stanno annoiando. Il Barone intravede una sagoma in fondo al terreno, vicino al recinto. Qualcuno gli sta rubando qualcosa: mira e spara. Colpito e affondato.
Giuseppe Di Stefano si avvicina alla sua preda e il bocchino di osso di cinghiale con il quale stringeva un sigaro in bocca inizia a tremare. A terra giace il corpo di un ragazzo in età da comunione, nel pugno destro poche mandorle che neanche gli era sembrato vero trovare in questa panorama condannato dagli ulivi. Con la mano sinistra proteggeva la ferita mortale. In verità c’era poco da proteggere, è morto sul colpo.
Giuseppe Di Stefano fa subito ritorno al suo baglio, chiama il guardiano e gli spiega la sitazione. Il pover’uomo ubbidisce, si va a costutire e si becca ventanni di carcere senza dire mezza parola. Passa qualche giorno ma il Barone Di Stefano non smette di tremare. Quel bambino, quel maledetto bambino che ha attentato alle sue mandorle non era il figlio di nessuno. Il padre è vicinissimo alla famiglia dei Messina Denaro.
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autore. Francesco Timo
per Marsala.it