La chiesa dedicata alla Madonna della Salute di Castelvetrano fu eretta intorno al 1600 sulla via di Trapani sul luogo dove esisteva un’antica cappella già dedicata alla Presentazione della Beata Vergine. Già nel 1622, la chiesa sembra però aver cambiato titolo, infatti in un documento reperibile presso l’Archivio della Curia Foranea di Castelvetrano, si attesta come Padre Vito Riera, visitatore generale del Vescovo di Mazara, concedesse la licenza di poter celebrare la Messa presso la Chiesa Dive Marie di la Sanitati.

Successivamente il 9 agosto 1628, Fra Giusepppe da Castelvetrano della Congregazione agostiniana di Sant’Adriano, chiede al principe Diego d’Aragona e Tagliavia la volontà di fondare, construere et edificare un luogo ossia convento di detta religione in Castelvetrano e nella Chiesa nominata della Sanità esistente vicino la Città, pregandolo di concedergli la debita licenza.

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tutte le foto sono di ENZO NAPOLI

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Ottenuto il permesso del Vicario Generale di Mazara, Mons. Francesco di Elia e Rubeis, e avuto il consenso dei superiori dei conventi di Castelvetrano e quello del Provinciale dell’Ordine, furono stipulate le tavole di fondazione del nuovo convento, e per volere della nobildonna Stefania Mendoza Cortes, moglie del principe Diego Aragona Tagliavia, fu ampliata ulteriormente la Chiesa. I lavori di costruzione furono eseguiti dagli stessi frati che, nei primi anni della loro venuta, si distinsero per l’austerità di vita e la frugalità del cibo. Il convento, che nel 1732 contava una decina di frati, ebbe negli anni seguenti una vita grama e finì per essere soppresso nel 1774.

Come tutte le chiese conventuali anche la Chiesa della Salute conserva nelle sue viscere il cosiddetto “putridarium” cioè un ambiente funerario “provvisorio”, in genere sotterraneo (tipicamente, una cripta sotto il pavimento delle chiese), in cui i cadaveri dei frati agostiniani defunti venivano collocati entro nicchie lungo le pareti, ciascuno munito di un ampio foro centrale e di un vaso sottostante per il deflusso e la raccolta dei liquidi cadaverici e dei resti in via di decomposizione. Una volta terminato il processo di inumazione dei corpi, le ossa venivano raccolte, lavate e trasferite nella sepoltura definitiva dell’ossario comune, dove ancora oggi viene conservata la lapide sepolcrale. Nella cripta della Salute inoltre sono presenti delle mensole su cui venivano esposti – e lo sono tuttora – i teschi dei defunti.

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Nella cripta, il continuo modificarsi dell’aspetto esteriore del cadavere, che cedendo progressivamente le carni in disfacimento (l’elemento contaminante) si avvicinava sempre più alla completa liberazione delle ossa (simbolo della purezza), intendeva rappresentare visivamente i vari stadi di dolorosa “purificazione” affrontati dall’anima del defunto nel suo viaggio verso l’eternità, accompagnata dalle costanti preghiere di confratelli, un altare al centro della stessa serviva inoltre per le celebrazioni esequiali o di suffragio.

Alla cripta – che come in quasi tutte le chiese è disposta al di sotto dell’area presbiterale – si accedeva attraverso un’ampia e larga scala, posta al centro della navata (vedi San Domenico). La pianta è quadrata con volta a botte, nella parete frontale è presente un altare in gesso, sormontato da una nicchia, che probabilmente in tempi remoti conteneva un affresco; in questa parete così come in quella di fronte, rispettivamente a destra e sinistra dell’altare e dell’arco di ingresso, sono posti dodici essiccatoi (o scolatoi). Nelle pareti di destra e di sinistra si possono notare otto nicchie (quattro per lato) circondate da cornici in gesso con motivi decorativi di festoni di foglie di acanto, sormonta le nicchie una elegante trabeazione dentellata con pitture di ovuli e foglie monocrome. Il pavimento della cripta, rimasto incorrotto da oltre quattrocento anni, è a mattoni ottagonali in terracotta.

Questa cripta era riservata prevalentemente alla sepoltura dei frati agostiniani, ma dalle lapidi custodite presso la chiesa, si evince che la stessa era destinata ad accogliere anche i cadaveri di ricchi borghesi o benefattori comprese le donne, che dal ‘600 fino al 1806 – data in cui non fu più consentita la macabra consuetudine – ebbero in uso di farsi inumare tra le mura di questo convento.

Le cripte oggi sono inaccessibili ai visitatori, le foto risalgono a qualche anno fa, ad opera dell’instancabile ricercatore e fotografo dei monumento Enzo Napoli, l’auspicio è che il futuro si possa intraprendere da parte di quanti hanno a cuore il patrimonio storico-culturale della nostra città, di ridare luce a questo pezzo di storia dimenticata e sconosciuta alla gran parte dei nostri concittadini.

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