Fare diventare la coltivazione del sale attività agricola. È questo l’obiettivo di Confagricoltura che alle saline Ettore e Infersa di Marsala ha presentato il progetto che si concluderà il prossimo anno a Roma con gli Stati generali delle saline marine a Roma. L’avvio del progetto è avvenuto lo scorso 27 settembre con la nascita del coordinamento tra gli imprenditori agricoli e della produzione del sale marino italiani. La collaborazione è stata dettata da molti punti in comune tra l’attività agricola e la coltivazione del sale marino. È nata un’Ats tra Confagricoltura e le società di gestione delle saline in 4 regioni italiane (Sicilia, Sardegna, Puglia ed Emilia Romagna) che sta lavorando, in collaborazione col ministero dell’agricoltura, per la definizione di una normativa mirata a far rientrare la coltivazione del sale come attività agricola.
Alle saline “Ettore e Infersa” di Marsala sono stati presenti, tra gli altri, Sandro Gambuzza, vice presidente di Confagricoltura, il presidente regionale Rosario Marchese Ragona, Giacomo D’Alì Staiti, presidente e amministratore delegato “Sosalt spa” e Dario Cartabellotta, direttore generale dell’assessore regionale all’agricoltura.
Oggi in Italia le saline si sviluppano su oltre 100 km quadrati di costa e conta un giro d’affari di 60 milioni di euro con 1,2 tonnellate di produzione di sale all’anno. Il sale prodotto dalle saline rappresenta il 30% dell’intera produzione italiana di sale. «La salicoltura è stata da sempre abbinata ad attività agricola ma mai riconosciuta in tal senso. In Sicilia, unico caso in Italia, i terreni sui quali si svolge la salicoltura sono riconosciuti come agricoli e quindi il legame è evidente ma ad oggi non riconosciuto», ha detto l’ingegnere Ciro Zeno a capo del progetto. «Se porteremo a compimento questo progetto si otterrà un riconoscimento per la sostenibilità territoriale – ha continuato Zeno – il salicoltore è un vero tutore del territorio, che lo preserva da criticità antropici e ambientali». In Europa la produzione di sale marino è circa il 10% della produzione di sale totale. I principali Paesi coltivatori di sale marino nella UE sono Francia e Italia, seguiti da Spagna e Grecia. Dal 2019 la Francia ha inserito la “saliculture” nelle attività agricole nazionali attraverso la modifica del Codice rurale e della pesca marittima. In Sicilia, poi, il piano di gestione delle saline di Trapani e Marsala fa già rientrare la salicoltura tra le attività agroforestali.
«Per il progetto che mira a far rientrare la salicoltura tra le attività agricole abbiamo già incassato l’ok del sottosegretario all’agricoltura Patrizio La Pietra. Proseguiremo negli incontri territoriali in Sardegna, Puglia ed Emilia-Romagna per poi fare il primo passaggio che è quello di creare un codice Ateco per il sale marino», ha ribadito Sandro Gambuzza, vice presidente Confagricoltura. A margine dell’incontro Piero Galli, amministratore delegato di “Isola longa”, ha spiegato che «il sale prodotto dalle nostre saline è Igp, riconoscimento assegnato dal ministero dell’agricoltura e non da enti che fanno capo a industrie e miniere che, attualmente, è il nostro settore di riferimento». «Così continuando le saline più piccole soffriranno molto perché ci sono costi non più sostenibili – ha detto Giacomo D’Alì Staiti, ad di “Sosalt spa” -. Bisogna far capire che il sale raccolto dalle saline è diverso da quello estratto in miniera. Qui coltiviamo il sale rispettando tempi e stagioni, tutelando il territorio, mentre quello di salgemma si estrae tutto l’anno».
Giacomo d’Alì Staiti.
L’ingegnere Ciro Zeno.