«Rinuncio alla difesa dei marchi «Tumminìa» e «Timilia», lasciandone il libero uso a tutti, promettendo, altresì, l’assoluto impegno di fare della mia azienda la paladina della difesa dei grani antichi effettuando rigorosi controlli al fine di colpire e smascherare i furbetti di turno».

Parola di Felice Lasalvia Di Clemente, amministratore unico di «Terre e tradizioni», la società che, tramite i propri legali, aveva diffidato coltivatore e commercianti siciliani dall’uso dei nomi «Tumminìa» e «Timilia». Si è risolto così il caso sollevato dal Giornale di Sicilia, dopo che il mugnaio castelvetranese Filippo Drago era stato informato da suoi clienti dell’arrivo delle lettere degli avvocati.

La questione suscitò polemiche in tutto il comparto, con prese di posizioni nette e chiare come quella di Coldiretti Sicilia: «Non mettiamo in discussione la bonarietà dell’accordo che prevede per i coltivatori prezzi remunerativi corrispondenti all’alta qualità del prodotto – ha detto il presidente Francesco Ferreri – merito anche delle loro capacità professionali, rimaniamo piuttosto allibiti che per fare squadra si debba rinunciare alla proprietà intellettuale. La vicenda merita un’accurata analisi dal punto di vista legale perché di primo acchito si tratta di privatizzazione di un nome e di un’operazione che va contro le convenzioni internazionali. Una volta approfondita la situazione, se ci saranno i presupposti, ci impegneremo ad annullare la registrazione».

Sulla questione è pure intervenuto Giuseppe Li Rosi, nel 2012 uno dei quattro soci fondatori di «Terre e tradizioni» e oggi presidente dell’associazione «Simenza». «Nel 2013, quando fu proposta la registrazione dei marchi io fui contrario – spiega Li Rosi – ma la maggioranza vinse e la registrazione avvenne». Da Catania la società «Terre e tradizioni» è finita con sede a Verona: nel gennaio di quest’anno viene messa in liquidazione e il liquidatore, trovando i marchi registrati, ha pensato di richiedere i diritti su di essi.

«In pratica – spiega oggi Felice Lasalvia Di Clemente – si è voluto attrarre l’attenzione sulla necessità di dare delle regole e dei protocolli da rispettare per potersi fregiare del nome di quelle specifiche varietà evitandone gli abusi in danno di agricoltori e, soprattutto degli ignari consumatori». «In pratica – dice Lasalvia – l’azione della mia società è stata determinata dalla volontà di supplire al vuoto normativo».

«In qualità di rappresentante di «Simenza» sono sicuro che questa «querelle» si risolverà nel migliore dei modi per tutti ed è occasione di riflessione per far evolvere l’ancora confuso settore dei grani locali in un qualcosa di più organizzato sulla produzione e di sicuro sul piano della tracciabilità delle partite di frumento e della loro purezza. La «timilia è di tutti» ha detto Lasalvia. Ora è arrivata la retromarcia di «Terre e tradizioni» che rinuncerà alle royaltis per l’utilizzo dei marchi «Tumminìa» e «Timilia». Sul caso era intervenuto anche il M5S con una interrogazione alla Commissione Europea: «Il ministro Calenda intervenga con urgenza».

di Max Firreri
per Giornale di Sicilia

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