Il tempo di pandemia che stiamo vivendo è fatto di rinunce, paure, attenzioni, preoccupazioni. E c’è un confine sottile che separa “noi” cittadini da chi si trova sul fronte dell’emergenza vivendo ambienti sanitari e ospedalieri, ogni giorno esposti al rischio più alto di contagio del virus. Per chi si è ritrovato, suo malgrado, nelle stanze degli ospedali Covid, quel confine sottile l’ha visto spesso annullato da un’umanità sconfinata oltre il dovere del servizio. Ed è quello che è capitato a Rosario Luppino, medico di Campobello di Mazara, che s’è ritrovato, da paziente, ricoverato presso l’ospedale “Abele Ajello” di Mazara del Vallo.

Tutto inizia con un banale raffreddore. Fa il tampone molecolare e risulta positivo. Rimane così in isolamento domiciliare. Lo fa anche la moglie. Ma le sue condizioni si aggravano e così viene ricoverato presso il reparto Covid-19 dell’ospedale di Mazara. «Mi sono ritrovato, all’improvviso, a vestire i panni del paziente. Nonostante la mia professione, comincio a vedere tutto negativo: sono solo, circondato da alieni che indossano tute spaziali e di cui, dopo un pò, riesco a intravedere solo gli occhi».

In quegli occhi il dottor Luppino ha iniziato a vedere la luce, a scrutare un’umanità sconfinata: «Ho scrutato senso del dovere e della collettività, vocazione al servizio, fortezza, abnegazione, altruismo, giustizia, sacrificio e mortificazione, carità, fede. Sono virtù umane che mi hanno trasmesso fiducia, speranza e anche gioia nei momenti in cui la tristezza ha avuto il sopravvento», racconta a CastelvetranoSelinunte.it.

Ora (domani uscirà dall’ospedale), avendo superato momenti difficili, Rosario Luppino è tornato a casa. Per lui il personale del reparto è ora davvero familiare: «Voglio ringraziarlo col cuore – racconta – quello che ognuno svolge, dal medico all’addetto delle pulizie, è un’impagabile missione umanitaria, tutto in nome della cura non del paziente, ma del prossimo».

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