Hervè A. Cavallera, ordinario di storia della Pedagogia all’Università di Lecce, ha ritrovato tra le carte di Giovanni Gentile, un testo autografo degli anni Trenta che lega la sua teoria estetica a un passo evangelico.
Ecco le parole del noto filosofo castelvetranese:
“L’esercizio del giudizio è la critica. E la critica chiede, a sentire tanti critici e filosofi, un certo distacco dall’oggetto del giudizio: non rivivere una poesia, ma riviverla e poi giudicarla; non ricostruire nella sua verità una filosofia ( che è quel che si richiede per intenderla, perché non si può giudicare ciò che non si sia inteso ), ma ricostruirla prima, e poi salire a quel concetto superiore che dimostri di quella filosofia l’insufficienza.
Il giudizio importerebbe, insomma, un’attività superiore, distinta perciò a diversa da quella giudicata. Contro la pretesa di questo punto di vita superiore non s’è mancato di protestare come contro un’ingiustizia arrogante, affermando p.e. che bisogna giudicare secondo i tempi, e trarre dai fatti il criterio per giudicarli ecc. ecc. E il detto evangelico molite iudicare è esso stesso un ammonimento contro il farisaico criterio di un’astratta legalità e di un’ipocrita morale rigoristica che si mette al di sopra e giudica e manda…
Il fariseo è corrivo a giudicare e quindi a condannare, senza tener conto delle ragioni di chi è giudicato. E il Vangelo raccomanda invece di amare. Appunto: questa è la questione: amare o giudicare? L’amore che redime è quell’accostarsi all’anima di chi è in errore, da pensare e sentire come lui: vedere la sua umanità anche nel suo errore.
In questa umanità, secondo il Vangelo, si deve far leva, per ottenere che chi è in errore si ravveda e corregga. Cioè appellarsi a quella umanità che è la stessa – ma, infinita – in chi corregge e in chi è corretto.
Quell’umanità, che nello stesso uomo lo viene educando ad ora ad ora e che è sempre la stessa umanità anche quando ci parla per bocca degli altri. La stessa umanità, la stessa poesia, la stessa filosofia ecc. Il giudizio, dunque, non importa un passaggio da un piano del pensiero o della vita spirituale a una piano superiore. Il critico letterario è il collaboratore del poeta – che è già critico sempre nell’opera sua e può, sollecitato e animato dal critico, riprendere e approfondire l’esame critico rimastogli interrotto.
Così come può riprenderlo e proseguirlo, anche senza sollecitazione ed inviti altrui, per suo proprio bisono, in quanto persiste la sua ispirazione poetica…”
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Molto interessante lo scritto che illumina quanto ebbe a dire Gentile a commento del suo famoso "Discorso agli Italiani", quando, a guerra ormai perduta, invitava gli Italiani ad una difficile riappacifaziazione: "Restituiasmo in misura d'amore ciò che abbiamo ricevuto in misura di odio". Una bella lezione.
Io lo chiamo lo Zio Giovanni, perchè non ho avuto mai il tempo di approfondire la sua filosofia, ma ogni volta che leggo un brano a sua firma lo sento molto vicino. Non solo vicino alla mia filosofia di vita, ma molto vicino al tempo che viviamo. La sua attualità è di quelle icone della storia dell'umanità imprescindibili dal cammino dell'uomo. Oggi questo pensiero dovrebbe essere davvero riportato in auge, vista la cultura del sospetto e della feroce contrapposizione che avvelena la vita sociale. Qualcuno ha parlato di storia della Sicilia da introdurre nelle scuole sicule, io dico che anche la filosofia di Gentile non viene mai affrontata nei licei, "non ci arriviamo con il programma" mi rispose la mia prof di storia e filosofia.... Non lamentiamoci se imperversa la cultura del Grande Fratello se già nelle scuole i prof non si preoccupano del loro ruolo di educatori e mezzi per la divulgazione di quella cultura che permette di acquisire quella "ragion critica" che permette di relazionarsi con gli altri.
Ho aspettato prima di commentare perche' volevo capire a fondo quanto Gentile avesse voluto tramandare attraverso queste sue inedite parole; anche perche', come alca, non ho studiato Gentile alle superiori.
Ma non voglio divagare...
Nell'estratto pubblicato Gentile tratta un aspetto della sua teoria estetica ed in particolare la Critica Letteraria, probabilmente in contrapposizione a quella Kantiana.
Gentile ci dice che la Critica e' uguale al Giudizio.
Un giudizio (di una poesia ad esempio) puo' essere positivo o negativo, in quest'ultimo caso ritroviamo l'"errore" cui fa riferimento Gentile.
Quindi posti davanti l'errore dobbiamo giudicarlo/criticarlo.
Gentile contrappone alla prospettiva distaccata del "Fariseo" quella dell'amore evangelico.
Il fariseo, puntando il dito contro l'errore, si pone su di un piano di giudizio che fa riferimento ad "un’astratta legalità e di un’ipocrita morale rigoristica che si mette al di sopra e giudica".
Il Vangelo pone al centro "l'umanita'" in cui si cala la critica; e' l'umanita' che parla a se stessa e anche eventuali errori possono essere corretti.
Qui non mi e' chiara una cosa e spero che attraverso un bel dibattito possiate aiutarmi nella ricerca.
La cosa che non mi e' chiara e': "Che errore commette il poeta o lo scrittore?"
Cioe' in che senso Gentile ha "paura" del giudizio e quindi della condanna proponendoci come via piu' moderata l'Evangelica comprensione?
Forse per sostituire la critica con la comprensione?
Ma perche' farlo se, secondo me, sono due attivita' umane separate e che portano a risultati diversi?
Se la poesia da "poieo" e' l'atto del creare in che modo il punto di vista del creatore puo' essere inteso errato?
Il professore Calcara, nel suo intervento, si collega ad un altro scritto del Gentile.
Devo dire che questa sua digressione mi abbia un po' destabilizzato, nel senso che lei pone lo stesso esercizio (evangelico) riguardo due questioni diverse; quella prettamente del sentimento umano (enfatizzato in quel periodo dalla devastazione del dopoguerra) e quella invece prettamente filosofico-letteraria trattata in questo articolo.
Pero' ripeto non conosco bene Gentile e forse il professore Calcara abbia probabilmente inteso questa associazione ad un livello diverso alle mie conoscenze.
Sarebbe interessante il vostro punto di vista.
Grazie
su gentile ve la vedete da soli per questioni "ideali"... lo conosco bene ma non ne condivido un rigo... è castelvetranese e va venduto come l'olio e il pane nero... ma non chiedetemi pure di esserne orgoglioso... per fortuna c'è chi se ne occupa con magnifici convegni... ed io respiro e torno a Kierkegaard...