Il senatore Antonio D’Alì sarebbe stato vicino ai boss di Castelvetrano, Francesco Messina Denaro prima e il figlio Matteo dopo. Non hanno dubbi i pubblici ministeri Paolo Guido ed Andrea Tarondo (in foto). Le prove, ritenute in origine insufficienti dagli stessi magistrati tanto da chiedere l’archiviazione, si sarebbero rafforzate.
Un compendio che, per il pm Paolo Guido, che ieri ha aperto la requisitoria, consente di affermare che Antonio D’Alì sarebbe stato per lungo tempo consapevolmente a disposizione della mafia. Contro il senatore ci sono le dichiarazioni di vari collaboratori di giustizia che, seppure non indicano episodi specifici, tracciano un quadro preoccupante collocando il parlamentare tra i politici a disposizione della mafia.
Un episodio specifico per la verità viene indicato ed è quello da cui, secondo i pm, avrebbe preso il via questa storia. Si tratta della vendita di un terreno, in contrada Zangara, a Castelvetrano, di proprietà di D’Alì. Per la pubblica accusa si sarebbe trattato di una falsa compravendita volta a coprire un’operazione di riciclaggio per 300 milioni di lire. Circostanza negata dal senatore. D’Alì è accusato di avere contribuito consapevolmente al rafforzamento della presenza di Cosa Nostra nel territorio mettendo a disposizione sia proprie risorse economiche sia il suo ruolo politico, anche quando sedeva sulla poltrona di sottosegretario al Viminale. Un personaggio, per la pubblica accusa, tenuto in debita considerazione negli ambienti della mafia. Secondo il pentito Nino Giuffrè il suo nome sarebbe stato tirato in ballo quando Cosa Nostra pensava di costituire un proprio movimento politico. Progetto accantonato dopo la discesa in campo di Silvio Berlusconi e la nascita di Forza Italia.
Il processo proseguirà il 24 maggio con l’intervento del pm Andrea Tarondo e delle parti civili. Sono fissati per il 14 e 21 giugno gli interventi dei difensori, gli avvocati Bosco e Pellegrino, che per il momento non hanno voluto rilasciare dichiarazioni. La sentenza è prevista per fine giugno. D’Alì ha chiesto di essere giudicato con il rito abbreviato.
Maurizio Macaluso
per LaSicilia