statuto sicilianoLa Sicilia è una regione ad autonomia speciale, e speciale significa diversa: ha in piccolo, una sua costituzione che si chiama Statuto ed è stata approvata due volte, la prima , con un decreto legislativo ,il 15 maggio 1946, e la seconda, con legge costituzionale, la legge n. 2, il 26 febbraio del 1948: ha quindi, nella sostanza, la stessa forza della Costituzione e, per questo, è quanto mai difficile cambiarne ufficialmente i contenuti.

Con lo statuto la più importante potestà della regione è quella legislativa. Su alcune materie la competenza è esclusiva cioè altrettanto piena di quella statale mentre su altre la competenza è concorrente cioè soggetta a limiti. L’agricoltura è competenza esclusiva e non è un caso che una delle prime grandi leggi, nel 1950, parli di riforma agraria, considerata la riforma delle riforme, l’asse portante della svolta autonomista. Alla competenza esclusiva si affianca , ed è questa una caratteristica unica, una competenza piena in materia di entrate fiscali: alla Regione infatti spetta la maggior parte dei tributi erariali.

Quindi, la regione ha le risorse per fare le leggi. Il risultato, nei primi quarant’anni di vita (1947-1987), è un intervento pubblico caratterizzato dal mantenimento dei redditi oltre che da un apparato pubblico autoreferenziale, fuori mercato e di dimensioni impressionanti. Ma la politica regionale non è sola: deve convivere con le competenze dello Stato ( sempre più deboli) e con quelle della Comunità Europea (sempre più forti). Si mette in moto pertanto un sistema di vasi comunicanti quanto mai complesso i cui nodi di volta in volta, vengono sciolti dalla Corte Costituzionale.

Il completamento dell’integrazione economica europea, mette la Regione di fronte ad un bivio e, per il modo in cui viene interpretato, si incomincia a far venir meno le ragioni della specialità dell’autonomia. In particolare le motivazioni portano la Regione a perdere una delle due grandi occasioni della propria vita , la specialità, stando almeno per il sentire comune nello strapotere delle analoghe competenze comunitarie.

La Regione in particolare si sarebbe dovuta occupare di una legislazione e non di aiuti volti a sostenere il reddito, il funzionamento e la commercializzazione, che sono di competenza delle politiche agricole comunitarie. Il dettaglio non è cosa da poco, e che mentre la Sicilia è brava a legiferare e a spendere secondo politiche della domanda e schemi di natura redistributiva, invece è meno brava ad attivare investimenti generatori di vantaggi (produttivi e infrastrutturali), investimenti cioè destinati ad incidere sul capitale e a far nascere unità aggiuntive di prodotto che per fruttificare, hanno bisogno di un’idea di sviluppo.

La Regione ancora una volta, purtroppo si ritrova ad avere un’immensa difficoltà a fare leggi di incentivazione e nello stesso tempo il paradosso, ovvero, la presenza di una impensabile dotazione di finanza da utilizzare. Il tema ad oggi non è più quello di riempire le imprese con incentivi formali ma è invece quello di migliorare lo stock esistente con fattori di conoscenza. Qui la Sicilia ha perso la sua seconda grande opportunità che è il mercato. La crisi fondamentale dell’agricoltura siciliana è da ricercare nella lentezza del passaggio da agricoltura-settore a agroalimentare-sistema.

Il limite è quindi da ricercare anche nell’imprenditorialità, vero capitale sociale, un limite qui totalmente culturale. Al riposizionamento dell’impresa però bisognerà assolutamente affiancare un rigoroso e condiviso processo di riconfigurazione della pubblica amministrazione.

Dott. Francesco Bongiorno
Vice coordinatore PDL Castelvetrano

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