L’obbligo etico della legalità

Nei giorni scorsi la stampa e la televisione hanno riportato, senza particolare risaltodi opinioni o, per meglio dire, di atteggiamenti, , un contrasto di opinioni o, per meglio dire, di atteggiamenti, tra due qualificati rappresentanti dell’episcopato italiano nei confronti della proposta di legge del governo Berlusconi, intesa a salvare le liste del suo partito alle recenti elezioni regionali, a Milano e a Roma.

Mons. Domenico Mogavero, responsabile per gli affari giuridici della Cei, ha dichiarato alla radio vaticana che «cambiare le regole del gioco mentre il gioco è già in atto è altamente scorretto, perché si legittima ogni intervento arbitrario». Successivamente il portavoce della stessa Cei, Mons. Domenico Pompili, ha dichiarato invece che «le questioni di procedura elettorale hanno natura squisitamente tecnico-giuridica» su cui la Conferenza Episcopale «non esprime valutazioni».


Quest’ultima affermazione, naturalmente, ha avuto subito una attestazione di «piena sintonia» da parte del capogruppo del Pdl al Senato Maurizio Gasparri, mentre l’esponente del Pd David Sassoli, ha dichiarato che «la Chiesa italiana fa bene a ricordare che la democrazia è un sistema fragile da proteggere». Questo contrasto di atteggiamenti, a mio parere, non coinvolge soltanto questioni di opportunità tattica e di correttezza nei rapporti istituzionali tra Chiesa e Stato, ma anche fondamentali problematiche teoretiche sul rapporto tra etica e legalità su cui, senza pretese esaustive, val la pena di fare qualche accenno. Precisiamo anzitutto che qui di «etica» intendiamo parlare, non di «morale» cattolica.

Cioè di una normativa comportamentale dettata non da un messaggio religioso ma dalla sola ragione umana in ordine al dover-essere dell’uomo. E, da questo punto di vista, l’opinione di mons. Mogavero appare ineccepibile. Modificare una legge elettorale mentre la campagna per le elezioni è già in atto, per consentire ad un partito politico, che non ha osservato le procedure nella presentazione della sua lista, di presentarla ugualmente, approfittando del fatto che quel partito ha la maggioranza in Parlamento, costituisce un atto di prevaricazione di quella maggioranza nei confronti delle norme elettorali che interessano tutti i cittadini.

Alla luce della norma etica che esige il perseguimento del bene comune, anzitutto operando nella legalità e dando vita ad assetti istituzionali e a meccanismi elettorali condivisi e condivisibili dalla generalità delle forze politiche in campo, la modificazione di quelli assetti e di quei meccanismi ad esclusivo interesse di una sola parte, costituisce un’ingiustizia, prima ancora che un’illegalità. L’etica abbraccia un orizzonte esperienziale e teoretico più ampio di quello della legalità e si pone in un piano più alto e di legittimazione ultima della legalità stessa. Una legge cioè può essere intrisecamente contraria alla norma etica, ponendo, in questo caso, seri problemi di coscienza a chi è obbligato ad osservarla. Una legge fatta nel solo interesse di una personalità politica, fosse anche il Presidente del Consiglio, o del suo partito, è una legge da considerarsi immorale, prima ancora che da sottoporre ad un eventuale giudizio di incostituzionalità.


Osserviamo, da ultimo, che l’etica razionale rientra, pur nella sua autonomia epistemologica, nell’alveo storico-culturale dell’etica rivelata, quella del Decalogo e del Vangelo e che i Diritti Umani, che il filosofo cattolico Maritain ha efficacemente contribuito a sancire nella dichiarazione dell’Onu nel 1948, sono parte integrante, così come il metodo democratico, dell’attuale visione cattolica della realtà sociale. Le dichiarazioni di mons. Mogavero, pertanto, non vanno considerate un indebito intervento clericale in questioni tecnico- giuridiche, ma un richiamo salutare alla vigilanza di cattolici e laici sui pericoli che incombono sulla «democrazia fragile» dei nostri giorni.

Armando Ervas

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