Ha ancora i ricordi vivi di cosa gli raccontò suo padre Vincenzo quando era in vita. E passano in rassegna sulla memoria delle sue vacanze a Selinunte da giovane e poi il ritorno da archeologo sui resti dell’antica città. L’Efebo di Selinunte Sebastiano Tusa, oggi Soprintendente del mare in Sicilia, lo conosce bene.

E ne conosce anche la storia travagliata. Quando l’Efebo fu recuperato in Umbria, suo papà Vincenzo era Sovrintendente ai beni culturali di Trapani. Fu l’amicizia con Rodolfo Siviero che portò a quella trattativa per l’acquisto, a Foligno, da trafficanti che l’avevano rubato nella stanza del sindaco di Castelvetrano.

A quella trattativa, camuffato nella sua identità, partecipò anche il papà si Sebastiano Tusa. E in quell’occasione, non certo semplice, l’Efebo tornò in Sicilia a bordo di un DC9, prima al Museo di Palermo (oggi Salinas) poi a Castelvetrano, la città d’origine.

Dottor Tusa, che valore ha, dal punto di vista scientifico-archeologico questo Efebo?

«È un eccezionale e unico reperto. L’originalità sta nel fatto che è il più grande (per dimensioni) bronzo ritrovato. Di solito le statue che gli scavi archeologici hanno portato alla luce sono di piccole dimensioni. Qui ci siamo trovati di fronte a una statua di poco meno di un metro che rappresenta un unicum tra la cultura greca e quella indigena.

A realizzarlo fu o un artigiano greco che aveva molte influenze locali, oppure uno del luogo con influenze greche. Sta di fatto che ha alcune caratteristiche che lo rendono unico. Come ad esempio la postura che assomiglia molto a quella severa greca ma poi la forma del volto e del corpo si legano molto a tipicità locali ».

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Il Museo dell’Efebo, come quello del Satiro a Mazara del Vallo, per fare alcuni esempi, potrebbe accogliere molto più visitatori. Perché nella valorizzazione dei nostri beni siamo così carenti?

«Siamo carenti nella comunicazione, perché non viene fatta come si dovrebbe. Noi siciliani siamo capaci di allestire mostre e Musei bellissimi, con materiale strepitoso e scientificamente ineccepibile, ma il risultato è che i grossi flussi di visitatori non vanno nei Musei.

Dove sta il problema?

«Secondo me il livello qualitativo dei nostri Musei non è ancora allineato agli standard europei che rendono una struttura attrattiva. Mi spiego meglio: il Museo non può più essere una vetrina di reperti ma deve accogliere molti servizi aggiuntivi, come caffetterie, librerie, negozi. Il Museo deve essere inserito in un normale circuito cittadino, che invoglia chiunque a trascorrervi qualche ora all’interno. Da questo punto di vista, ancora siamo lontani anni luce».

L’Efebo, dopo un periodo di esposizione alla Casa del Viaggiatore al Parco archeologico, torna a Castelvetrano. Eppure il suo luogo di origine sarebbe proprio l’antica città di Selinunte….

tusa rostro tricina«In questa mia risposta sarò controcorrente rispetto a chi è favorevole a un’esposizione permanente a Selinunte. Per me la statua deve rimanere esposta a Castelvetrano. È lì da cento anni ed è stata contestualizzata in quella piccola collezione allestita al Museo civico. Attorno a lui e alla sua storia è cresciuto e si è nutrito un gruppo di eruditi locali. E poi i Musei civici rappresentano un valore aggiunto per le realtà cittadine. Portarlo via da lì significherebbe fare perdere valore proprio a quel Museo».

Oramai la Regione per gli scavi archeologici batte cassa e questi sono possibili solo col supporto delle Università e di sponsor stranieri. Perché?

«Ritengo che se non si investe subito in cultura e in ricerca, come Paese saremo destinati a morire e a diventare un’Italia da slot machine e fast food. Attualmente si investe l’1% del Pil italiano. Poco, anzi pochissimo. Bisogna avere consapevolezza che siamo un Paese ricco di archeologia e cultura e questo è uno, se non il primo, punto di forza come attrattiva per il turismo mondiale. Se a questo ci crediamo, dobbiamo investire. L’attuale panorama mi preoccupa tanto, soprattutto vedere che molte nostre giovani professionalità vanno all’estero perché non offriamo loro possibilità di lavoro. Basta fare qualche esempio: se si digita sul web le parole “archeologic job”, spuntano fuori 40 offerte di lavoro in Inghilterra. In Italia, invece, tutto è fermo ».

Secondo lei, c’è una strategia che ci può portare a fare un giro di boa a questo momento di stallo?

«Bisogna iniziare dal rivedere la legge 10 del 2000, quella che in Sicilia ci ha allineati tutti ai quadri dirigenti. Questo ha fatto sì che non ci sono più professionalità specifiche spendibili. Bisogna ripristinare i ruoli tecnici nella pubblica amministrazione. Ma vado oltre. L’inversione di tendenza sta anche nel fatto che la politica dovrebbe ottimizzare l’uso attuale delle risorse finanziarie nella formazione professionale, utilizzando parte di queste nella riqualificazione del personale interno alla Regione. È una questione di scelte orientate a programmazione a lungo termine. E in questo la politica regionale deve avere un ruolo da protagonista».

Un’ultima domanda. E torniamo sull’Efebo. Quale proposta lancia per valorizzarlo di più?

«Vista l’importanza di questo reperto, certamente si può fare molto di più in termini di visitatori. Io l’ho sempre identificato come emblema di una Sicilia che è stata capace nei secoli di dialogo e influenze. Ma in un mondo globalizzato come quello che stiamo vivendo oggi, è necessario farlo conoscerlo al mondo. Penso proprio a una mostra che, insieme alla statua bronzea, potrebbe “esportare” in altri Stati europei il connubio tra identità e contaminazione in Sicilia. Questa è una via percorribile ma puntare a strategie di comunicazione e valorizzazione oramai è una strada obbligata. Se rimane in quella teca e in pochi sapranno che è lì, le visite non si incrementeranno mai. Oggi c’è un grande bisogno di comunicare al mondo. E il web, per questo, ci viene incontro».

di Max Firreri
per GdS

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