Straniari la stagione teatrale diretta a Castelvetrano da Giacomo Bonagiuso e Fabrizio Ferracane presenta: Danlenuar, una storia d’amore ambientata ai tempi della catastrofe mineraria di Marcinelle (Belgio, 1956).

Antonio, intrappolato al fondo della miniera che brucia, rivolge un ultimo pensiero alla sua Genoveffa, sposata sette anni prima, il giorno stesso della sua par- tenza.

Il ricordo della loro storia passa attraverso la rievocazione di un rapporto epistolare e consiste esso stesso in una lunga lettera, mai scritta, solo immaginata, a 1035 metri sotto la terra.
La scrittura nasce da un lavoro di ricerca sul campo in Abruzzo, e sperimenta la costruzione di una memoria collettiva a partire dalle memorie individuali dei reduci e delle vedove delle vittime di Marcinelle.

Nell’affollato, e ormai stantio, panorama del teatro di narrazione, c’è un volto nuovo. Giovane. Maturo. Capace di dare ulteriore linfa ad un genere che necessita di nuove modalità espressive.

Artista profondamente radicato in quella terra fertile di creatività che è la Sicilia, che continua a generare talenti. Giacomo Guarneri è uno di questi. Attore dalla fresca vena affabulatrice, nonché autore di intensa scrittura, sia orale che scenica, il giovane palermitano si è formato alla scuola di maestri del racconto come Mimmo Cuticchio, Davide Enia, Ascanio Celestini, Dario Fo. Ma il suo nome è legato alla regista Emma Dante, quale interprete dello struggente spettacolo “Vita mia” con cui ha girato l’Italia e l’Europa.

Rappresenta una successiva evoluzione artistica il suo “Danlenuàr” testo vincitore del Premio Enrico Maria Salerno per la drammaturgia 2008. Un dramma epistolare nato come spettacolo da lui prodotto, diretto e interpretato, e ora diventato un piccolo romanzo grazie al concorso letterario nazionale “Giri di parole 2009” indetto da Navarra Editore. Un libro che si legge tutto di un fiato catturandoci nella morsa dolorosa di una tragedia lontana ma con echi ancora attuali: quella degli emigranti del nostro Meridione morti nelle miniere del Belgio nel ’56.

Ricca di dettagli narrativi, di parole francesi sicilianizzate dal protagonista, di descrizioni di stati d’animo tra la lacrima e il riso, la scrittura di Guarneri si è nutrita di storie reali raccolte nel suo ambito famigliare, fra ex-zolfatai dell’entroterra siculo, e in Abruzzo incontrando alcuni dei superstiti della “catastrophe” di Marcinelle. Allargando il significato della vicenda storica “Danlenuàr” ha il pregio di mutare in racconto universale: una riflessione sul presente, che, come scrive lo stesso autore, «cerca di capire la miseria che porta gli uomini ad accettare il lavoro in condizioni estreme, la dignità scalfita che convive col coraggio, la voglia di costruire che sempre si rinnova e i limiti massimi dell’attesa, le tante morti bianche di ieri e di oggi».
Infine, a differenza della messinscena, Guarneri aggiunge nel libro un capitolo, “Rue Beaurepaire”, un epilogo che spiazza.

Quasi un colpo di scena. Dalla forma più canonica e immediata della prima parte, la scrittura muta stile, vira sul simbolico, e ricomincia la storia là dove sembrava tutto finito. Racchiudendo nel semplice affidare ad una lettera mai inviata la confessione del padre verso il figlio mai conosciuto, Guarneri fa del protagonista una summa di tutti gli apolidi, un uomo che ha perso tutto – nome, identità, origini, religione, sesso -, a cui rimane solo il ricordo.

Giuseppe Di Stefano, Il Sole 24 ore

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