Il bel San Domenico, gioiello d’arte di Castelvetrano

San Domenico – foto di Gianni Polizzi

Ho un malloppo di carte a casa, custodito in una cartella rossa, che riassume anni e anni di mobilitazioni, iniziative, proteste, petizioni, ordini del giorno, viaggi a Roma, Palermo e Trapani, attese, delusioni e speranze, condivise con tanti amici, egualmente innamorati di questa città, assieme a diversi parroci (ne cito due, particolarmente sensibili: don Guido Malacarne e don Giuseppe Undari); tutto per vedere coronato un sogno: rivedere, finalmente, nel suo splendore una testimonianza di fede e un gioiello d’arte come la chiesa di San Domenico. Ed ora che è prossima la sua definitiva riapertura, provo un piacere specialissimo a ripercorrerne, così come mi è stato chiesto, la storia e a descriverne brevemente l’assetto, rimandando per il resto ad una prossima pubblicazione che sto curando assieme ad Aurelio Giardina ed Enzo Napoli.

La chiesa di S. Domenico – fondata intorno al 1490 dai Tagliavia, su una precedente cappella extra moenia dedicata a Santa Maria di Gesù, ingrandita da Carlo d’Aragona, prediletta dai Principi della città che ne fecero il sacello di famiglia – costituisce uno dei più eclatanti esempi del manierismo siciliano, ed è una delle tappe imprescindibili dell’itinerario storico artistico monumentale della nostra città. La data del 1470, spesso citata dagli studiosi, si riferisce alla fondazione del convento domenicano, la cui formale approvazione fu concessa nel 1487.

volto di Jesse – foto di Gianni Polizzi

La chiesa appare, a prima vista, divisa in tre navate, con presbiterio senza transetto, anche se le navatelle sono in effetti il risultato del collegamento fra le cappelle laterali, sicché sarebbe forse meglio parlare di chiesa ad aula unica. La navata mediana, sovrastata da volte a crociera, riceve la luce attraverso finestroni decorati da stemmi, festoni, putti e volute. Lo spazio tra le finestre, incorniciato da stucchi ornamentali, era forse destinato ad accogliere affreschi mai più eseguiti. Le arcate che sostengono i muri poggiano su robusti pilastri rivestiti di bianco. Le navate laterali sono notevolmente più basse, coperte da volte abbastanza arrotondate e talune con decorazioni negli spigoli. È probabile che sotto gli stucchi si nascondano gli archi di sesto pronunciato rispetto a quanto si vede; lo deduciamo dall’unico arco libero da stucchi posto sotto l’organo e da quello della cappella del Crocifisso. Lungo le navate sono accostati otto altari e si aprono alcune cappelle, di cui quella citata del Crocifisso si presenta isolata rispetto alle altre e forse doveva costituire la base di un campanile mai realizzato, come intuiamo dalla dimensioni dei muri perimetrali della cappella stessa.
I motivi ornamentali che troviamo lungo le pareti sono ripetuti sulla controfacciata, con in più stucchi di angeli disposti ai lati della porta e della finestra centrale.

San Ambrogio – foto di Gianni Polizzi

Il cappellone, rialzato rispetto al piano della navata, è di forma quadrata; esso è preceduto da uno scenografico arco trionfale a tutto sesto contrastante col moderato stile gotico caratteristico delle altre strutture dell’edificio.
La copertura del presbiterio è in parte sostenuta da quattro colonne incassate agli angoli del muro.
Dietro l’altare maggiore si apre la vasta cappella del coro, anch’essa quadrangolare e coperta da una cupola semisferica che poggia su nicchie bizantineggianti.

L’edificio nel suo primo assetto doveva presentarsi spoglio ed austero con pietre a vista, così come appare la cappella di S. Maria Maddalena de’ Pazzi nella coeva chiesa conventuale dei Carmelitani.
Nell’arco di un secolo, la chiesa dei Domenicani cambiò radicalmente diventando, come detto, uno dei più interessanti esempi del manierismo siciliano: e ciò ad opera delle decorazioni di Antonino Ferraro da Giuliana, capostipite di una illustre famiglia di stuccatori e pittori insediatasi ed operante per generazioni a Castelvetrano, cui si deve, in particolare, la fastosa decorazione dell’arco trionfale e del presbiterio Questo abile pittore e stuccatore venne chiamato a Castelvetrano da don Carlo d’Aragona che, probabilmente, ne aveva ammirato i lavori ultimati nella cattedrale di Palermo nel 1574. Attraverso stucchi, pitture, riquadri, cartigli e fregi, l’artista tende a riempire tutto lo spazio, con l’evidente fine di stupire.
L’idea a cui si attenne il Ferraro nel realizzare la decorazione della chiesa di S. Domenico è la celebrazione messianica: nel presbiterio vengono, infatti, raffigurati i temi relativi alle promesse, alle profezie e alle prefigurazioni di Cristo.
Nelle colonne interne, troviamo plasticamente raffigurati, a destra, la Sibilla Libica, Mosè in preghiera, il profeta Sofonia, il serpente inastato; la Sibilla Eri­trea, Mosè che percuote la rupe, il profeta Abacuc, il vitello d’oro, a sinistra.
I pilastri che fiancheggiano il grande arco gotico che si apre davanti al Coro recano dei riquadri raffiguranti il sogno di Giacobbe, a destra; e la visione di lsaia, a sinistra.

Undici medaglioni ovali, nell’intradosso dell’arco, rappresentano episodi della Passione e della Risurrezione di Cristo, e l’incoronazione della Vergine.
Ma il tema messianico è ripreso nei grandi mensoloni superiori ai lati dell’arco: su di essi siedono lsaia, Giacobbe, Michea e Zaccaria, quasi a volere incorniciare la grandiosa scena centrale, plasticamente espressa attraverso l’albero genealogico di Jesse, raffigurato disteso sul mensolone centrale, da cui si dipartono i rami dei suoi dodici successori, fino alla Vergine, posta al vertice, contornata da angeli.
Nella cappella del Coro, troviamo affrescate su quattro grandi ovali la Ri­surrezione, l’Assunzione, la Pentecoste, la Dormizione della Vergine, e alternate ad esse le storie di Giona, Davide, Salomone e Davide.
Sotto la volta, entro apposite nicchie, vediamo i busti dei quattro evange­listi, e sei statue di Santi domenicani: S. Pietro Martire, S. Caterina, S. Dome­nico, S. Tommaso d’Aquino, S. Antonino Pierozzi, S. Vincenzo Ferreri.
Notiamo che il Ferraro iniziò i lavori a Castelvetrano, subito dopo avere compiuto quelli di Palermo, cioè nel 1574. Il coro fu ultimato tre anni dopo, come evinciamo da due lapidi poste nella parete orientale, dove leggiamo: Absolutum hoc fuit opus 26 aprilis V ind.s anno D.ni 1577 – Maii absolutum hoc quinte sextoque kalendas ipse fuisse scias inditionis opus anno Domini 1577.


foto di Gianni Polizzi

I lavori del presbiterio furono, invece, ultimati nel 1580, come risulta da un’altra lapide.
Certamente, l’imponente decorazione del Ferraro costituisce il maggiore richiamo della chiesa di S. Domenico, ma in essa sono presenti altre notevoli opere, tra cui spicca la tomba gentilizia degli Aragona Tagliavia nella parete di fondo del coro, altri monumenti funerari nelle cappelle laterali, gli stalli corali, oggi smontati, l’organo, il pulpito, l’altare maggiore.
La chiesa conservava anche pregevoli opere, tra cui lo Spasimo del Fondulli e una bella Madonna del Laurana, ora custoditi in S. Giovanni; mentre altri dipinti sono stati purtroppo trafugati.
Utilizzata come museo, nel periodo fra le due guerre, la chiesa, che è proprietà del FEC, fu riaperta al culto nel 1949 per essere chiusa, a causa dei danni subiti dal terremoto, nel 1968.
Un primo intervento di rifacimento dei tetti si ebbe nel 1980, sotto la direzione dell’arch. Matteo Scognamiglio; un secondo intervento affrontò, nel 1984, il problema dei pavimenti; mentre un ulteriore progetto di ripristino strutturale, conclusosi nel 1992, sotto la direzione degli architetti Errera e Lomeo, consentì, il 1° novembre di quell’anno, la riapertura della chiesa, ma non la fruizione della zona dell’arco trionfale, oscurata da un ponteggio, del presbiterio e del coro.

Dopo lunghe traversìe, seguite sia dalla civica amministrazione sia da un comitato appositamente costituitosi, oggi giunge finalmente a termine il progetto conservativo e di restauro delle decorazioni plastiche e pittoriche, finanziato coi fondi del POR Sicilia 2000-2006, misura 2.01, condotti sotto la magistrale direzione dell’arch. Gaspare Bianco. In particolare, a seguito di lavori condotti con avveniristiche e sofisticate tecniche di restauro, si ritorna ad ammirare la stupenda costruzione in stucco dell’albero di Jesse, gli stucchi del cappellone e del coro e quelli della cappella del Rosario, le decorazioni pittoriche che, quasi per miracolo, sono ricomparse in tutta la loro bellezza.
L’auspicio, a questo punto, è che, per una corretta lettura del monumento, tutte le opere mobili della chiesa, trasportate altrove, ritornino presto nel loro sito originario e che, eventualmente, si possa realizzare nel tempio tornato al suo antico splendore, una mostra permanente dei beni artistici (quadri, statue, sacra suppellettile, paramenti) di proprietà del FEC (Fondo Edifici per il Culto) pertinenti Castelvetrano, che oggi si trovano sparsi in altri luoghi.

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  • Mi compiaccio per il recupero di questo gioiello della
    nostra città che purtroppo ha visto danni enormi (la palazzina liberty dell'ex avviamento, quasi nessun palazzo in stile barocco salvato ecc.) provocati da
    schiere di amministratori inqualificabili.
    Ogni volta che torno a Castelvetrano mi piace rivedere
    il meraviglioso portale scolpito in pietra della Madrice
    che magnificava, ai tempi del liceo, quell'eccezionale
    uomo di cultura ed intelligenza che era l'ARCIPRETE
    Melchiorre GERACI.
    Non ho mezzi concreti per ricerche, vedo con piacere che
    ci sono anche nella nostra città cultori dei valori del
    nostro passato di comunità,invito questi benemeriti a fare ricerche e scrivere per lasciare alle future generazioni un profilo di questo Eccezionale UOMO DI
    FEDE e di CULTURA, PADRE GERACI che ascoltavamo incantati non solo nel corso delle sue lezioni a 360°
    gradi, su qualunque tema ed argomento dello scibile umano,quando passeggiavamo la sera lungo il corso Vittorio, ed ascoltavamo in Chiesa la notte di Natale
    con una devozione laica perchè sapeva toccare il cuore
    e le menti.

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