L’ultima volta che ci siamo incontrati è successo davanti la porta del Circolo della Gioventù, pochi giorni prima che morisse. Io ero al Sistema delle piazze per seguire il corteo di “Orgoglio castelvetranese” e lui era lì, sull’uscio del Circolo, ad ascoltare. Non ci vedevamo da mesi e rincontrarci fu una grande gioia. Ci lasciammo con un impegno: «Vediamoci presto, rimettiamoci a camminare». Sì, camminare. E qui non c’entra nulla la politica. Perché Gianni Pompeo negli ultimi anni era diventato un assiduo escursionista domenicale. E io con lui. Non ci siamo mai sentiti esperti di trekking ma ogni uscita era una giornata felice, spensierata tra risate e aria pulita.
A Gianni Pompeo l’ho conosciuto meglio da sindaco di Castelvetrano nei suoi due mandati. La prima volta che lo intervistai fu quando divenne primo cittadino della città. Io seguivo le elezioni per il Giornale di Sicilia e mi ritrovai a parlare con lui nel momento in cui si realizza la democrazia compiuta in un paese: eleggere un sindaco e un consiglio comunale. La mia esperienza professionale mi ha portato più volte a incrociarlo. È successo a “Belice Ambiente Spa” (io ero addetto stampa e lui da sindaco presiedeva il Comitato intercomunale di controllo) e poi ancora al Comune di Castelvetrano, sempre per i nostri distinti ruoli. C’è stato sempre un grande rispetto reciproco tra noi due. Anche quando certi servizi non gli andavano giù, Gianni non mi portò mai rancore.
La nostra amicizia è nata così, quasi per caso: io ero giovane cronista e lui politico. Ogni volta che ci vedevamo non mancava mai una grassa risata che ci faceva assaporare il piacere di stare insieme. Oltre la politica e il giornalismo c’è stata, però, la passione per le escursioni domenicali che ci faceva condividere intere giornate. Quel trekking – parola sulla quale ci ridevamo sempre su perché non ci sentivamo all’altezza di veri professionisti – che insieme ci ha fatto scoprire decine di luoghi mai visti prima.
Gianni era un vero camminatore. E di questo si stupiva anche lui: «Mi fai fare cose da ragazzi» mi diceva. Poi, però, non si tirava indietro. La prima escursione fu quella sulla vecchia linea ferrata Partanna-Castelvetrano. Ammirammo per la prima volta la vasca dell’acquedotto selinuntino e il ponte sul fiume Modione, sino ad arrivare alla stazione ferroviaria di Castelvetrano. Una delle mie foto vinse il concorso indetto dall’associazione “Ferrovie dimenticate”. E per ritirare il premio (una cesta di prodotti tipici) a Gibellina, andai insieme a lui e a Nino Centonze. Del resto, quell’avventura l’avevamo condivisa insieme.
In Gianni nacque un entusiasmo genuino per le escursioni. «Non ti addormentare» mi ricordava il sabato. E ogni domenica mattina era una tappa diversa: i sentieri alti della Riserva dello Zingaro, la Riserva di Lago Preola e Gorghi Tondi, Tre Fontane-Torretta Granitola-Tre Fontane, Cave di Cusa-Torretta Granitola-Cave di Cusa (insieme all’amico pilota Vito Gentile) Santa Maria delle Scale (in provincia di Agrigento), al Cretto di Burri (con l’amico Fabrizio Tritico e il suo asino Antonio) e la battuta di trekking lungo la linea ferrata tra la vecchia stazione di Caltabellotta e quella di Ribera. Ricordo ancora ora che fatica sotto la pioggia. Ma, insieme ad amici, arrivammo a destinazione gustandoci poi un bel panino con la salsiccia.
Quelle esperienze furono per me l’occasione per conoscere il lato umano di Gianni, marito, padre e nonno. In quelle camminate apriva il suo cuore trasmettendomi vibrate emozioni, tra gioie e preoccupazioni. La nipotina Ludovica e la preparazione all’intervento al cuore della moglie Lina a Milano. Poi c’era sempre un pretesto, passo dopo passo, per virare su altri argomenti e si finiva con una risata mentre si contavano i chilometri percorsi.
Bastava la giusta sensibilità per sperimentare il lato umano di Gianni. Anche quando l’estate del 2016 (con le camminate trekking ci eravamo fermati) ebbe il desiderio di offrirmi una pizza: «Vengo a trovarti a Tre Fontane, chiama anche Vito Bonanno (l’ex sindaco di Gibellina, ndr)». Gianni, ricordo, era gioioso negli occhi per esserci riuniti insieme tre amici. E il rivederci fu l’occasione per parlare delle nostre esperienze professionali: lui da medico tornato in servizio ma prossimo alla pensione, io da giornalista e Vito Bonanno da neo segretario generale al Comune di Alcamo.
L’intervento della moglie a Milano e i muratori a casa furono i motivi che interruppero la nostra routine domenicale con le lunghe passeggiate, anche fuori provincia. Ma Gianni non perdeva occasione per muoversi, anche per poche ore. Scoprì il circuito dell’area attrezzata della diga Delia, a pochi chilometri da casa. E l’appuntamento era lì, insieme agli amici Enzo Cafiso e Giovanni Messina. Gianni portava i wurstel ai cani randagi e, loro, per ringraziarlo lo seguivano lungo tutto il percorso. «Rosa, Rusidda» chiamava una piccola bastardina che scodinzolava ogni volta che lo vedeva scendere dalla macchina. A Gianni Rusidda era riconoscente.
Oggi che Gianni non c’è più, è il tempo della memoria e dei ricordi. Solo questi lasciano traccia dentro chi l’ha conosciuto da uomo e chi, con lui, ha sperimentato il gusto della relazione, del dialogo e dell’amicizia vera. Nulla si vanifica. Porto con me i ricordi di un grande amico camminatore. Pronto a farsi una risata e a dirmi: «Mi fai fare cose da ragazzi…».
Articolo pubblicato il 16 febbraio 2019
View Comments
UN grande uomo. UN politico come tanti