“Vengo da Locri, in provincia di Reggio Calabria e per lavorare sono costretta a vivere lontano da mio marito e dai miei figli. Il mio stipendio è di 1100 euro al mese, che al nord mi permettono solo di sopravvivere. Il prossimo anno però, con i tagli alla scuola di questa finta riforma non avrò più la possibilità di fare il mio lavoro e a 36 anni mi ritroverò disoccupata, nonostante tutti i sacrifici che anche i miei figli hanno dovuto fare. A partire dal prossimo settembre, nell’istituto dove lavoro, pare che si registrerà un esubero di circa dodici insegnanti di ruolo, figuratevi la fine che faranno i precari.
Che riforma è? Pensano davvero di aumentare la qualità scolastica buttando in mezzo a una strada migliaia di insegnanti? A cosa servono gli sconti organizzati dal governo sulle auto e sui mobili se poi non potremo comprarli lo stesso?
Vi ringrazio per avermi ascoltato e spero anche nel vostro aiuto, affinché si possa continuare a mantenere viva l’attenzione sugli effetti devastanti che puntualmente arrivano solo dopo che si sono spenti i riflettori”.
Valnegra è un paesino di 200 abitanti, e forse è proprio nei piccoli paesini che è distribuita la maggioranza delle voci più disperate dell’ultimo precariato. Si tratta anche di persone che amano il proprio lavoro e che a volte si sono trovate in aereo con la febbre alta, perché “mettersi in malattia” nella loro città d’origine poteva essere rischioso: magari qualcuno avrebbe potuto pensar male. E a pagare sono sempre le persone oneste che, dopo anni di sacrificio, dovranno interrompere la loro carriera precaria, sostituendo il gioioso sorriso dei bambini, con l’amaro silenzio della disoccupazione.