Le tradizioni, che rappresentano le radici e la cultura dei nostri antenati, stanno scomparendo sotto l’incalzare della globalizzazione. Bisogna lottare per impedire che spariscano del tutto e ripristinare quelle già scomparse.

A tale scopo, lo scorso sabato 28 dicembre presso il Circolo della Gioventù di Castelvetrano si è svolto uno spettacolo culturale per rilanciare LA NINNAREDDA, un genere di canto popolare religioso siciliano, che si cantava in chiesa in occasione della novena di Natale.

Lo spettacolo culturale, facente parte del programma natalizio 2013 è stato patrocinato dal Comune di Castelvetrano. La dott.ssa Francesca Catania, Assessore alle Politiche Sociali del Comune di Castelvetrano e la prof.ssa Arianna Maniscalco, consulente del sindaco, che si sono interessate alla buona riuscita della manifestazione, hanno chiarito il programma della serata. Vito Marino cultore delle tradizioni popolari siciliane, carico di memorie accumulate nel corso dei suoi lunghi anni ha relazionato sull’argomento “ninnaredda”.

A Castelvetrano, durante la civiltà contadina e fino agli anni ’50, la ricorrenza del Santo Natale univa la religiosità alla tradizione popolare, fatta di PRESEPE, COSI DUCI e CANTI NATALIZI. Per la gente semplice di allora bastavano questi pochi elementi per riempire l’animo di gioia e di allegra atmosfera natalizia.

La NINNAREDDA era un genere di canto popolare religioso siciliano, che si cantava in chiesa in occasione della novena di Natale, che durava nove giorni: dal 16 al 24 dicembre.

Così, dopo la prima messa delle 4,30, nelle principali parrocchie si cantavano dei brani intonati da un coro all’unisono, con l’accompagnamento di violino e mandolino o chitarra.

Perché così presto alle 4,30? Dobbiamo ricordarci che fino agli anni ’50 circa la fonte principale della nostra economia era fondata sull’agricoltura. I contadini, dovendosi recare nei campi lontani, spesso a piedi o con l’asinello, impiegavano più ore e dovevano partire molto presto per trovarsi all’alba sul posto di lavoro. La Chiesa, per permettere a questi lavoratori di partecipare alla santa messa, e quindi: alla NINNAREDDA, celebrava le funzioni religiose a quell’ora.

Quando ero bambino, di sera, sentivo cantare questi brani alla CRISIOLA DI LU SIGNURUZZU DI LA CARUTA, posto in Via Bertani, ai quattro canti con Via Denaro. (Si tratta dell’altarino incassato nel muro, ancora esistente, con un quadro raffigurante Gesù mentre cade sotto il peso della croce).
La parola NINNAREDDA, ormai scomparsa dall’uso comune, deriva da NINNA NANNA, nenia che ogni mamma cantava giornalmente alla propria creatura, per farla addormentare.
Le melodie cantate facevano parte della fede e delle tradizioni di un mondo contadino arcaico ormai scomparso, povero, ma ricco di semplicità e amore familiare.
Nella festività natalizia, la ninna nanna si riferiva al neonato Gesù che, come ogni bambino di questo mondo, non voleva prendere sonno.

I brani rappresentano oltre alle ninne nanne, anche la nascita di Gesù e la Sacra Famiglia, ricordata dalla tradizione popolare siciliana come una normale famiglia terrena, con i suoi problemi quotidiani di fame, freddo, lavoro e amore familiare.
Sicuramente questi canti sono molto antichi; infatti, qualcuno contiene dei ritmi che sanno d’orientale. Evidentemente anche in questo campo l’influenza della dominazione araba in Sicilia ha lasciato la sua impronta.

A solennizzare la ricorrenza natalizia, c’erano anche i NINNARIDDARI, cioè suonatori di violino e di “ciarameddi” (cornamuse). Costoro “a li sett’arbi” (per come si diceva allora, cioè di mattino prestissimo ancora al buio), giravano per le strade suonando queste nenie. Nelle strade silenziose di allora, le note echeggiavano e si diffondevano nell’aria creando un’atmosfera di festa.

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Chi era interessato li invitava a suonare in casa davanti al presepe od all’altarino; poteva trattarsi di una suonata occasionale o per tutta la novena. Ai suonatori si dava un compenso, a volte in natura, come: “li cosi duci” di Natale.
Oltre al presepe, allora esisteva in molte famiglie il culto dell’altarino in casa, possibilmente sistemato in una nicchia. I nobili tenevano addirittura un altare in un’apposita stanza.
In Sicilia, nel lontano passato, era frequente trovare, accanto alle celebrazioni liturgiche, altre manifestazioni celebrative devozionali come “triunfi”, orazioni, novene, e “ninnaredde”. Queste manifestazioni, che erano fortemente avvertite dal popolo, venivano diffuse dai “ninnariddara”e dai cantastorie ciechi.
In Sicilia, da sempre, i non vedenti si sono adattati al canto per motivi di sopravvivenza. Dai miei lontani ricordi a Castelvetrano, intorno agli anni ’50, c’erano due non vedenti: Nicola l’orvu e don Pippinu l’orvu, che cantavano nei saloni dei barbieri accompagnandosi rispettivamente con la chitarra e con il violino. Don Pippinu, che si chiamava Giuseppe Ricupa, era molto conosciuto in quegli anni; egli faceva anche il ninnariddaru, in occasione delle novene di Natale.

La Chiesa, al fine di diffondere presso il popolo le storie dei santi e della Bibbia, nel 1661 a Palermo, presso la “Casa Professa” aveva costituito la “Congregazione dei cantastorie orvi”, per iniziativa e sotto la guida dei padri gesuiti. Si trattava di cantori non vedenti a cui veniva insegnato a suonare il violino. Essi, nel 1700 trattavano argomenti religiosi, come: “Li nuveni” e “li triunfi” (li triunfi di Santa Rosolia, di Santa Lucia, ecc.).
Il “triunfu”, era una festa di ringraziamento indetta in onore di un santo da parte di chi aveva ricevuto una grazia.

Dopo gli anni ’50, per come è successo a moltissime nostre tradizioni, questi canti sono scomparsi, dissolti nel nulla, inghiottiti dalla globalizzazione.
In quegli anni, con l’avvento della civiltà del benessere e del consumismo, nella nostra tradizione natalizia è arrivato l’ALBERO DI NATALE, e altri canti natalizi, come “Adeste Fideles, Jingle Bells, Noel Noel, ecc.”. Anche in questo caso la globalizzazione ha apportato tradizioni provenienti da paesi stranieri con culture diverse dalla nostra, soppiantando gli altarini, il presepe e le nostre care “ninnaredde”.

Negli anni ’90 il prof. Matteo Bentivoglio e il prof. Giuseppe Lo Sciuto (in arte Sciupè) hanno riesumato questi canti, e fatti cantare, per circa un decennio, da un coro polifonico a quattro voci del quale facevo parte anch’io.

Sciolto il coro, questa tradizione continuò per alcuni anni presso la parrocchia di San Giovanni Battista, cantata dal coro di parrocchia diretta da Paolo Catania.
I dieci cantori facenti parte del coro, accompagnati dal dott. Anzalone, un appassionato di fisarmonica, e diretti dal maestro Paolo Catania, hanno cantato alcuni brani della ninnaredda.

Le ninne nanne non sono una nostra esclusività, anche i grandi compositori si sono cimentati a scrivere di queste nenie con musiche e canti meravigliosi. Anche in Sardegna Maria Carta ha cantato belle ninne nanna e la nostra insuperabile Rosa Balistreri ne aveva raccolto un bellissimo repertorio in lingua siciliana.
Per i più giovani “la ninnaredda” rappresenta una novità, una tradizione a loro sconosciuta; si tratta in realtà di un patrimonio culturale, che i nostri nonni ci hanno lasciato, ricco di sentimenti di pace, d’umiltà e d’amore familiare. Valori ormai scomparsi nella moderna civiltà ove si assiste quotidianamente a violenze, odio, vendette e disgregamento della famiglia.

La scaletta della serata è stata la seguente: “LA SIMINZINA – DORMI NUN CHIANCIRI – LI PASTURA VONNU ABBALLARI – C’ERA UN POVIRU PICURARU – LA MARUNNUZZA ‘N CAMMARA SIRIA – DORMI DORMI ‘UN HANNU ABBENTU – SUPRA S’ARTARU – NOVI IORNA DI NUVENA – VIAGGIU DULURUSU” – .

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