In riferimento alle notizie di stampa che mi riguardano, mi corre l’obbligo, a onor del vero, di precisare quanto segue:

  • Come risulta dall’articolo comparso su “Antimafia duemila”, l’incontro è stato organizzato per soddisfare il desiderio di Vincenzo Calcara di incontrare gli studenti di Castelvetrano e non per celebrare l’anniversario della nascita di Paolo Borsellino (illuminante è in proposito la totale assenza delle forze dell’ordine, ignare dell’evento)
  • Ho ritenuto nient’affatto utile né educativo che i miei studenti partecipassero all’incontro, perché ritengo che i collaboratori di giustizia, senz’altro utili per le indagini, non abbiano niente da insegnare, né possono sedere in cattedra, decisione condivisa pienamente dal Consiglio d’Istituto, (allegato n. 1, leggi in seguito)
  • Comunque, non ho impedito ad alcuno di partecipare al convegno, anche perché nessuna richiesta in tal senso mi è pervenuta
  • Il mio impegno sul terreno dell’educazione alla legalità è testimoniato dai titoli di cavaliere e commendatore, conferitimi da Scalfaro nel 1996 e da Ciampi nel 2006, dal premio Francesco De Sanctis del Centro Pannunzio di Torino e dai molteplici attestati di solidarietà pervenutimi in occasione dei diversi attentati subiti, l’ultimo dei quali risale a fine maggio 2010, dopo il corteo e il convegno da me organizzati per ricordare la strage di Capaci (allegato n. 2, leggi in seguito)

  • Se per difendere un delinquente, qual è stato Calcara, si vuole offendere chi ha fatto dell’antimafia uno stile educativo e una scelta di vita, con il segreto proposito di farlo demordere, non si è capito che come ho resistito in trent’anni di attività educativa per la formazione di una coscienza civile e democratica delle nuove generazioni ad attentati e a dileggi (“preside antimafia” mi chiamavano) così continuerò imperterrito sulla mia strada, superando l’amarezza che provo per la malevolenza di alcuni e l’incomprensione di molti

Francesco Fiordaliso

Allegato n. 1

Il Consiglio d’istituto, il personale docente e non docente, gli alunni del liceo classico “G. Pantaleo”, del liceo delle scienze umane “G. Gentile” e del liceo scientifico “M. Cipolla” di Castelvetrano esprimono totale solidarietà al dirigente scolastico Francesco Fiordaliso contro gli attacchi più o meno velati della pseudo società moralizzatrice e buonista e di qualche organo di stampa su cui si nutre qualche dubbio sulla “mission” socialmente educativa che pur dovrebbe svolgere, e ribadiscono con forza che i modelli educativi possono esclusivamente essere rappresentati da persone oneste e laboriose, tra cui rientra indubbiamente il dott. Ingroia che pure muove qualche critica, che hanno certamente apportato un contributo costruttivo alla società civile e non presunti ex delinquenti che hanno procurato danni sociali e che paradossalmente, in uno stato di “diritto” sono mantenuti con i contributi di quelle persone oneste e laboriose di cui sopra.
Tutto ciò al fine di voler contribuire a deviare il percorso di una società decadente in cui si mistificano i personaggi spazzatura pubblicizzati dai mass media e si tende a creare artatamente confusione su quelli che dovrebbero essere i veri eterni valori su cui è stata costruita e si fonda la società civilizzata.

Allegato n. 2

Quest’anno scolastico si è concluso con un episodio che ha turbato la nostra serenità, ma che dimostra, in tutta la sua crudezza, come la nostra azione educativa sia incisiva in un territorio dominato dalla mafia e dalla mafiosità, dove non si muove foglia che Matteo Messina Denaro non voglia.

Chi non conosce la realtà di questo piccolo paese non può capire l’invasività della mafia, che non si cura solo degli interessi economici, come fa altrove, ma vuole anche avere il dominio su tutti e su tutto, con una presenza capillare in vasti settori della vita pubblica e privata. Può succedere solo qui che professionisti dell’educazione vengano intercettati mentre si lasciano andare in espressioni di stima e ammirazione nei confronti della primula rossa della mafia. Può succedere solo qui, dove, non a caso, la mafia ha inscenato la morte del famigerato bandito Giuliano, che vengano uccisi i sindaci o sequestrati potenti considerati altrove intoccabili, come l’esattore Corleo, suocero di uno dei potenti cugini Salvo. Può succedere solo qui che ai funerali di Francesco Messina Denaro, padre di Matteo, partecipi quasi tutta la città senza un minimo senso di vergogna. Può succedere solo qui che i rampolli dei mafiosi facciano il bello e il cattivo tempo a scuola senza che nessuno osi contrastarli. Qui la mafia va in doppio petto, frequenta i circoli e i salotti buoni, è osannata e riverita, esercita il potere economico senza trascurare di mantenere stretti addentellati anche con il mondo politico e con la società che conta. Qui chi si oppone viene dileggiato, “sparlato”, equivocato, isolato.

Ricordo il lontano 1992, l’anno delle stragi, quando, prima nel febbraio, poi a maggio, mi bruciarono la scuola e l’autovettura, solo perché portavo avanti l’educazione alla legalità senza piegarmi a chi mi chiedeva di “allinearmi”, colpevole di organizzare dibattiti a scuola con personaggi non graditi, come il giudice Carlo Palermo, ritornato in provincia per la prima volta dopo l’attentato di Pizzolungo, o i procuratori Falcone e Borsellino. Mi chiamavano, ironicamente, “preside antimafia”, quando l’antimafia a scuola non era ancora di moda, ma veniva considerata pericolosa perché “si nuoceva il cane che dorme”. Ma io, sin da ragazzo, avevo scelto la strada dell’impegno e del servizio per contrastare l’ingiustizia sociale e lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Formatomi in azione cattolica, ero solito divorare i libri sulla vita dei santi che il mio buon assistente spirituale mi forniva, gli unici, d’altronde, che avevo a disposizione. Sulla scorta del loro esempio ho pensato di fare il missionario per aiutare i lebbrosi e coloro che morivano di fame in terra d’Africa o nel Mato Grosso. Crescendo, però, ho capito che i poveri li abbiamo anche qui fra noi, per cui, laureatomi, ho scelto di restare qui, nella nostra terra, per dare una mano a coloro che lottavano per il riscatto della Sicilia, in attesa di vincere i concorsi a cattedra, piuttosto che andare al nord, alla ricerca facile di un incarico, che allora non si negava a nessuno, per traghettare, dopo alcuni anni di insegnamento, nei ruoli della scuola. Una scelta che mi ha portato a lottare con Danilo Dolci per le strade e per le dighe, con don Antonio Riboldi per la ricostruzione del Belice, con il senatore Ludovico Corrao per la rinascita culturale delle zone terremotate. Chiusa la parentesi di un impegno politico, che si è rivelato falso e illusorio, mi sono dedicato totalmente alla missione di favorire la formazione di una coscienza civile e democratica tra le nuove generazioni, prima come docente, poi come preside, sino a quando, nel “92, non ho sentito sul mio collo l’alito puzzolente e disgustoso della mafia. Anche allora vi fu una serie di episodi (la targa della scuola divelta e spezzata in due, la telefonata minacciosa a mia madre, la gallina infilzata alla cancellata della scuola, il cerone dietro la porta di casa) che furono giudicati “ragazzate”, sino a quando la notte del 16 maggio la mia alfa rossa fiammante, posteggiata sottocasa perché l’indomani sarei dovuto andare in una scuola di Piazza Armerina per un dibattito sulla mafia, non divenne fiammeggiante. La bottiglia con il residuo del liquido infiammabile usato lasciata a pochi passi di distanza non lasciava alcun dubbio sulla causa dell’incendio e dava anche una paternità alle “ragazzate” precedenti. Ricordo che mio figlio,appena quindicenne, si slanciò per andare a spegnere l’incendio della sua macchina (l’avevo acquistata perché era piaciuta a lui), trattenuto a stento da mia moglie. Ricordo che i condomini, oltre a chiedermi di ripristinare a mie spese il prospetto deturpato dalle fiamme, posteggiavano le loro vetture lontano da quella di mia moglie, a scanso di ogni rischio, che i colleghi, con cui ero solito andare a Trapani o a Palermo per le riunioni, non furono più disponibili a viaggiare con me, che i miei cognati, con cui dividevo la villetta per l’estate, rinunciarono alla villeggiatura. Mi sentivo un appestato, accusato di smania di protagonismo da una parte, di chissà cosa dall’altra. Una situazione che si è protratta sino a quando si è presentata l’occasione di assumere la presidenza del Liceo Ballatore di Mazara del Vallo, dove sono stato in esilio volontario per allentare una pressione che rischiava di diventare una sfida personale tra me e qualche mafioso. Sono ritornato, dopo dieci anni, perché il mio cuore non aveva retto e gli acciacchi non mi consentivano di viaggiare, ma anche perché, se non soprattutto, ero orgoglioso di assumere la guida di questo glorioso istituto, che ingloba il Liceo Classico “Giovanni Pantaleo” e il Liceo delle Scienze Umane “Giovanni Gentile”, dove ho concluso i miei studi liceali.
Mi sono, sin dall’inizio, prefisso di operare con discrezione, di evitare ogni forma di visibilità, rifiutando interviste e passerelle, delegando a rappresentarmi nelle varie manifestazioni il prof. Lillo Giorgi, mio prezioso collaboratore, anch’egli vittima di un grave gesto intimidatorio per l’attività di contrasto portata avanti contro la mafia nella sua qualità di vicesindaco. Ma non potevo, né volevo, rinunciare all’educazione alla legalità, sempre portata avanti da me, prima da docente e, poi, da preside, sin dai lontani anni ottanta del secolo scorso. Così ogni anno ho avviato le attività didattiche con una “lectio magistralis” sulla legalità, ho organizzato, poi, un convegno su una tematica specifica sul problema della mafia, in occasione dell’anniversario della nascita del magistrato Luca Crescente, ex allievo del Classico, ho ricordato, infine, la strage di Capaci con una tavola rotonda e una messa, una delle quali è stata celebrata dal compianto cardinale Pappalardo.

Quest’anno, dopo tanti magistrati, la “lectio magistralis” è stata tenuta da Rita Borsellino, il convegno del 15 gennaio ha affrontato il problema della “Mafia nel carrello”, riferendoci, in modo particolare alla città mercato costruita da Grigoli come un monumento alla superpotenza di Matteo Messina Denaro, la tavola rotonda per l’anniversario della strage di Capaci ha visto la partecipazione, tra gli altri, dell’europarlamentare Rosario Crocetta, già sindaco di Gela, e del sen. Giuseppe Lumia, già presidente della Commissione parlamentare antimafia, i quali, per non smentirsi, hanno parlato senza peli sulla lingua. Quest’ultimo, soprattutto, nel suo vibrante intervento, ha disegnato la rete di potere, affari e collusioni criminali di Matteo Messina Denaro, ponendo l’accento sulla negatività della sua presenza nel territorio e usando provocatoriamente nei suoi confronti pesanti espressioni per distruggere l’icona di eroe negativo diffusa nell’immaginario collettivo. Gli studenti con uno scrosciante applauso hanno espresso la loro chiara e netta approvazione al discorso, suscitando il fastidio in alcuni volti poco noti, mai visti prima. “Questo – ha dichiarato il sen. Lumia – ha dato molto fastidio alla mafia. È stata un’iniziativa di grande qualità educativa, in un contesto scolastico preparato e progettuale che rifiuta l’omertà e si impegna contro la mafia”.

Avevo fatto affiggere sui due lati del totem che troneggia davanti al Liceo Classico e che solitamente uso per propagandare le varie iniziative un megamanifesto di m..5.60×2.60 che ritraeva i due magistrati Falcone e Borsellino sorridenti, mentre conversavano tra di loro, con l’intenzione di lasciarlo lì tutta l’estate a significare la presenza di una società civile che non aveva nulla a spartire con la mafia. Per la verità avevo, in precedenza, pensato di fare stampare la foto segnaletica di Matteo Messina Denaro con sotto la scritta “wanted”, ma non ho trovato nessuna tipografia disponibile a stamparla, per cui ero stato costretto a riprodurla in fotocopie.

La notte successiva il manifesto è misteriosamente scomparso, senza che a terra o nei dintorni fosse possibile rinvenirne alcuna traccia. Non era mai successo che un nostro manifesto venisse strappato! In un comunicato stampa i docenti, condannando gli autori del vile gesto, così si esprimevano: “Costoro, a prescindere dal fatto che l’azione sia stata compiuta con dolo o per insulsa idiozia, hanno dimostrato di non rispettare quanti rappresentano la legalità e l’antimafiosità proprie della Sicilia sana che nulla ha da spartire con i fenomeni di criminalità che tanto hanno martoriato e purtroppo continuano a martoriare la nostra isola ed il nostro territorio. L’aver fatto sparire quel manifesto, con le immagini dei giudici Falcone e Borsellino, è certamente da condannare anche se a compierlo sono stati dei balordi, utile humus della mafia che, prima del territorio, riesce a dominare le coscienze di taluni. Siamo certi – conclude il comunicato – che si sta velocemente avvicinando il giorno in cui Castelvetrano e la provincia di Trapani non saranno più associate al nome di Matteo Messina Denaro”. Gli episodi successivi di cui ha parlato la stampa (il danneggiamento delle statue in gesso di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e del pannello con le loro effigi allo stadio) sono emblematici di una strategia che solo una mente sottile, come quella di Matteo Messina Denaro, sa utilizzare, come più volte, in varie occasioni, ha dimostrato. La tendenza a minimizzare non serve, mentre è più utile mostrare una coscienza vigile e attenta. Ricordo che Maurizio Costanzo superò la mia resistenza a partecipare al suo show, dicendomi che la visibilità in casi simili al mio garantiva la sopravvivenza, perché la mafia colpisce coloro che restano isolati. Perciò ringrazio sentitamente tutti coloro che hanno voluto nobilmente farmi pervenire la loro solidarietà, quando, a seguito della scomparsa del manifesto raffigurante Falcone e Borsellino, è stata rinvenuta sul tavolo della portineria del Liceo Classico una busta a me indirizzata con una cartuccia di fucile. “Non si può non notare – si legge nel comunicato stampa dei docenti – che questo esplicito attacco al dirigente scolastico costituisce un attacco alla scuola tutta ed alla sua attività formativa improntata al rispetto della legalità ed all’antimafiosità proprie della Sicilia sana, la quale nulla ha da spartire con i fenomeni di criminalità che tanto hanno martoriato e purtroppo continuano a martoriare la nostra isola ed il nostro territorio. La Castelvetrano rispettosa della legalità deve fare scudo contro questi atti intimidatori i cui esecutori e mandanti dovrebbero essere al più presto scoperti e puniti.

Castelvetrano deve essere ricordata per le grandi iniziative culturali, molte delle quali nate per impulso del preside Fiordaliso, e non per queste azioni meschine che rischiano di continuare a fare del territorio un utile humus della mafia la quale riesce ancora a procurarsi insulsa manovalanza e perfino a dominare le coscienze di taluni”. Mi sono pervenuti attestati di solidarietà da parte del Direttore dell’Ufficio Scolastico Regionale, dell’ex Presidente della Commissione Parlamentare Antimafia, dei Sindaci di Castelvetrano, Campobello di Mazara e Partanna, dei Presidenti del Consiglio, della Confidustria, del Presidio di Libera e del Movimento Federalista Europeo della provincia di Trapani, del Centro Pannunzio di Torino, del Centro Pio La Torre di Palermo, dell’ASASI (Associazione Scuole Autonome Sicilia), del Centro Internazionale “Giovanni Gentile”, del CRESM, della Scuola di Teatro, Cinema e Danza “Ferruccio Centonze” del Teatro Selinus, del Consiglio d’Istituto, della FIDAPA e della FILDIS, del Lions, del Vice Sindaco, dell’Assessore alle Pari Opportunità, del Presidente della Commissione alle Pari Opportunità, dei consiglieri Rino Chiovo, Pasquale Calamia, Carlo Cascio del Comune di Castelvetrano, del consigliere provinciale Marco Campagna, del sen. Ludovico Corrao, dell’on. Vito Li Causi, del giudice Benedetto Giaimo, dei giornalisti Paolo Rumiz de “La Repubblica”, Antonino Bencivinni di “Kleos”, Max Firreri e Mariano Pace del “Giornale di Sicilia”, Margherita Leggio de “La Sicilia”, delle scrittrici Gabriella De Fina e Leda Melluso, dei presidi Giovanni Lombardo, Vito Ingrasciotta. Nella Cusumano, Nino Accardo, Grazia Vivona Marchese, Gaetano Calcara, Vito Tibaudo, Leonardo Chiara, di tanti docenti e studenti del Liceo Classico “G.Pantaleo”, del Liceo delle Scienze Umane “Giovanni Gentile”, del Liceo Scientifico “Michele Cipolla”, di tantissimi altri, tra cui gli accademici Hervè Cavallera dell’Università di Lecce, Giovanni Cavallera dell’Università di Firenze, Gaspare Falsitta dell’Università di Pavia, Andrea Ungari della LUISS di Roma, Giuseppe Modica, Alessandro Musco, Piero Di Giorgi, Ivan Angelo e Giacomo Bonagiuso dell’Università di Palermo, Valerio Marucci dell’Università del Salento, Guido Laj della III Università di Roma, Lino Di Stefano di Frosinone, Franco Borghi del presidio Libera di Cento, Giovanni Falcetta di Crema, Rosario Di Bella, Marilù Gambino, Fede Amari, gli avvocati Nino Marino, Franco Messina, Tancredi Bongiorno e Victor Di Maria, la Segretaria del Circolo “G.Impastato” di Castelvetrano, don Baldassare Meli, Gaspare Agate, Baldassare Genova, Giuseppe Ingoglia, Gianfranco Becchina Nino e Graziella Gancitano, Anna Gelsomino, Lillo Giorgi, Rosaria Giardina, Paride Sinacori ecc.ecc, i cui testi si possono leggere sul sito dell’Istituto www.liceomagistralecastelvetrano.it

Francesco Fiodaliso

Questo è il manifesto di m.5.60×2.60 misteriosamente scomparso.

AUTORE.   Francesco Fiordaliso