Quello che sta succedendo per la diga Trinità di Castelvetrano è l’emblema di una mancata capacità programmatoria delle risorse e dei corpi idrici. È quanto denuncia Legambiente Sicilia in un documento dove si solleva anche il caso di altre dighe che rischiano di chiudere per mancata manutenzione e collaudo. Quello che sta avvenendo nella diga Trinità lo raccontiamo da settimane, a partire da quella lettera del Ministero delle infrastrutture che ne ha disposto la “messa fuori servizio”. A rischio c’è l’itero comparto agricolo dell’area di Castelvetrano e Campobello. «Quel che però salta agli occhi – dichiara Giuseppe Amato, responsabile risorse idriche di Legambiente Sicilia – è il fatto che una così importante infrastruttura pubblica, gestita direttamente dal Dipartimento regionale acque e rifiuti, giunga quasi senza alcun preavviso alla condizione di cessazione delle funzioni senza che in alcun modo si sia corso ai ripari e, quel che è peggio, è che scorrendo rapidamente la lista dei grandi invasi siciliani, diversi degli stessi sono nelle identiche condizioni del Trinità e potrebbero in breve sortire la stessa sorte lasciando l’agricoltura isolana, già durissimamente provata dall’incalzante cambiamento climatico e dall’aumento del costo delle materie prime, in condizioni di stallo completo».

In Sicilia su 47 invasi 26 sono fuori servizio. «Si è colpevolmente deciso di rischiare il collasso di un intero sistema – dichiara Tommaso Castronovo, presidente di Legambiente Sicilia – anziché intervenire per efficientare e mettere in sicurezza gli invasi esistenti, si è invece preferito puntare ad un’opera che, oltre che sommergere un importante sito archeologico, finirà per peggiorare lo stato di salute della piana di Catania diminuendo ancor di più l’apporto di solidi al sistema delle foci e delle spiagge senza alcun effettivo vantaggio per l’agrumicoltura. La sorte della Trinità è, quindi, emblema di una mancata capacità programmatoria di una politica che parlando di iniziative a contrasto del cambiamento climatico in realtà non fa che peggiorare le chances di resilienza dell’isola mediterranea».

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