Affascinante, colta, libera, ironica, sensuale. Era questa Beatrice Tasca Filangeri di Cutò, madre del grande romanziere Giuseppe Tomasi di Lampedusa. Lo scrittore Ruggero Cappuccio nel suo ultimo libro “La principessa di Lampedusa” (pubblicato per Feltrinelli nel marzo scorso) racconta lo stile e la vita di questa donna aristocratica che nel 1943 entra a Palermo bombardata, entra nel palazzo di famiglia e decide di non andarsene più. Il mondo sembra alla fine, ma Beatrice non si tira indietro: protegge, esorta, si espone e diventa simbolo di libertà per Eugenia che l’osserva dalla finestra di fronte. Da questo testo è stata scritta una riduzione in forma di reading teatrale – “Il sogno di Beatrice” – che ieri sera ha visto protagonista al Parco archeologico di Selinunte, l’attrice Sonia Bergamasco per i tre appuntamenti del Festival della bellezza. Serata sold out ieri sera e lo sarà anche stasera con Alessandro D’Avenia.
Signora Bergamasco, quella di Beatrice Tasca Filangeri di Cutò è tutta una lotta al femminile, a partire dalla Palermo del ’43 colpita dalle bombe. Che donna è quella raccontata a Selinunte?
«Il racconto è un testo originale scritto da Ruggero Cappuccio, a partire dal libro pubblicato per la Feltrinelli. Mi è stato proposto questo appuntamento in questo luogo magico che è Selinunte e così ho chiesto a Cappuccio di darmi un filo rosso da poter seguire per portare al pubblico la voce di una donna unica. Del resto Cappuccio è riuscito magistralmente a raccontare nel libro la Sicilia attraverso la voce di una donna così speciale».
Il rapporto con la fine (morte) e l’arte della solitudine. Cosa ci insegna la principessa?
«Quella che parla è un fantasma di donna e, quindi, libera. Una donna che ha visto tutto, ha sentito tutto e ha desiderato tanto e ora racconta, da un luogo nuovo, la sua storia e insieme quella della sua Sicilia, della sua casa. E lo fa con una consapevolezza piena, ossia quella di una donna che già in vita è stata capace di stare nella storia con la coscienza assoluta dei fatti e delle relazioni con gli altri».
La mamma del romanziere Giuseppe Tomasi di Lampedusa combatte contro la rassegnazione, la decadenza. Quanto è attuale la sua testimonianza?
«La consapevolezza dell’originalità, la responsabilità dell’essere diversi e dell’essere anche forti delle proprie fragilità è una grande responsabilità che come attrice sento di volere assumere dando voce a questa donna con queste caratteristiche. La testimonianza della principessa è, dunque, più che attuale».
Amore e dolore, un duello combattuto. E poi la paura. Come possiamo definire la forza di Beatrice?
«La forza della principessa Beatrice è consapevole delle varie spinte che un animo umano può sentire dentro di sé. È consapevole e, allo stesso tempo, pronta a rinunciare a qualcosa per non stare sotto alle sue aspettative, ai suoi sogni di donna, di creatura e di anima».
La principessa, nel romanzo di Cappuccio, dice che “bisogna aver vissuto almeno un’esperienza straordinaria per sopportare la normalità”. Quanto è attuale oggi questo pensiero?
«Lei ci trasmette la normalità come mediocrità, come appiattimento, come omologazione e direi che è estremamente viva come realtà di fatto. E, quindi, è viva la principessa di Lampedusa. Ma quando lei parla di esperienza straordinaria dobbiamo considerarla nel senso di avere il coraggio di stare all’altezza dei propri desideri. Non rinunciare, non demordere, resistere e consistere».
La Sicilia oggi è terra di bellezza ma un po’ gattopardiana, piena di contraddizioni. Come la vede Sonia Bergamasco?
«La Sicilia è una terra così grande e complessa e non so quanto io, da non siciliana, sia in grado di raccontarla. Per lavoro l’ho vissuta poco. Sul set de “Il commissario Montalbano” sono stata in una zona silenziosa e dolcissima, nella parte sud orientale. Ma posso dire che della Sicilia conosco la sua bellezza e le sue contraddizioni come qualsiasi italiano abbia coscienza. Io ho tanti amici siciliani che sono estremamente combattivi. Spesso i siciliani vengono raccontati come rassegnati. Ma non è così. Anche i cliché fanno male alla salute di un Paese…».