Uno degli obiettivi della “risoluzione Alfano” è l’introduzione del 416 bis, il reato di associazione di tipo mafioso, in tutti gli stati europei. Che ne pensa?
Magari! Ho toccato spesso questo tasto, ma finora i segnali non sono mai stati positivi. In passato, mi è capitato di parlare con funzionari di alto rango del Ministero della Giustizia in Germania, che però non ritenevano per nulla necessaria l’introduzione del reato di associazione mafiosa. La risposta è stata che già si ha l’associazione a delinquere e questo ci basta.
Perché si fa fatica a parlare di mafia in Germania?
La strage di Duisburg è stata dimenticata e le istituzioni non hanno aiutato la gente a ricordare e a riflettere. Chi lo fa spesso non è visto di buon occhio: qualcuno in Germania mi ha detto che io vedo la mafia anche nel caffelatte. Anche se qualcosa si sta muovendo.
Abbiamo fatto un incontro con salvatore Borsellino, Antonio Ingroia, un magistrato tedesco e un esponente della polizia di Stoccarda. Dal pubblico qualcuno aveva chiesto ad Ingroia se avesse ricevuto pressioni politiche durante le indagini su Marcello Dell’Utri e Ingroia aveva descritto in maniera diplomatica, ma chiara, ciò che in Italia si sa molto bene. A quel punto ho chiesto al magistrato tedesco se, in caso di indagini a personaggi politici di spicco, si sarebbero potute verificare pressioni simili a quelle avvenute per Ingroia. Mi rispose che non ci sarebbe mai stata alcuna pressione politica, provocando in sala una vera e propria rivolta. La gente comincia ad essere consapevole degli intrecci politico-mafiosi, che potrebbero prendere piede in ogni momento e a casa propria.
Anche perché in Germania la magistratura dipende dal governo?
Purtroppo si, da noi non c’è un CSM. Il fatto che il potere giudiziario non possa contare sulla propria autonomia è un grosso handicap. Inoltre, un magistrato che parla in pubblico non è visto di buon occhio. Ci sono tanti bravi magistrati in Germania, ma quei pochi che avevano scelto di dire la propria pubblicamente sono stati bacchettati. Per carità, anche in Italia, da quando la magistratura ha cominciato ad interessarsi ai colletti bianchi della politica, si è assistito ad un continuo attacco con accuse di protagonismo che hanno reso il lavoro dei giudici ancora più difficile, però in Italia almeno ci sono punti di vista differenti che trovano un loro canale d’espressione. In Germania pare che su queste cose ci sia un muro molto più compatto. Sembra mancare quella consapevolezza sociale del problema, che va oltre le sentenze.
Spesso, sindaci di comuni siciliani dove la presenza della mafia è molto pregnante, tendono ad enfatizzare la grande distanza che c’è da una maggioranza di cittadini onesti che nulla hanno a che fare con la mafia. Ad esempio, per anni, il sindaco di Castelvetrano ha ripetuto che la città starebbe scontando una colpa non sua in termini di immagine, soltanto per aver dato i natali al noto latitante Matteo Messina Denaro. Come vede questo tipo di approccio?
In Italia la difesa incondizionata del proprio è molto diffusa. Ma credo che le distanze vadano prese con consapevolezza. Non basta certo dire: la mia città non c’entra. Occorrere anche favorire una presa di posizione netta contro un sistema più ampio, fatto di sostegno e di fiancheggiatori a volte molto radicati all’interno della società stessa. Bisognerebbe forse creare quelle condizioni che possano stimolare la partecipazione della gente anche alle manifestazioni antimafia. Manifestazioni che però devono essere credibili, prendendo le dovute distanze non soltanto da Matteo Messina Denaro, Riina o Provenzano, ma anche da quei politici che non rappresentano in maniera specchiata la legalità in ogni suo aspetto. Non bisogna dimenticare che, ancor prima delle rilevanze penali, esiste una responsabilità morale. Se uno è stato indagato per fatti di mafia, anche se alla fine non ha ricevuto condanne, certamente non è la persona giusta per parlare di antimafia in pubblico.
Nella città di Matteo Messina Denaro, la quasi totalità dei commercianti non paga il pizzo. Come legge questo dato in controtendenza rispetto ad altre città, dove invece le estorsioni sembrano essere la cartina tornasole della presenza mafiosa?
Il senso del pizzo è il controllo del territorio. Questa è un’anomalia molto interessante, perché in questo modo si ottiene il consenso, che è qualcosa di molto più prezioso di un controllo imposto.
Può essere letto come una sorta di importante investimento, in base al quale non si produrrà il fisiologico malcontento della gente per un’oppressione economica che suonerebbe troppo scomoda, soprattutto in tempi di crisi. Sappiamo ormai da tempo che il business della mafia non sta affatto nei proventi del pizzo. Direi che in questo caso, paradossalmente, il controllo del territorio stia proprio nell’esenzione del pizzo.