Il Covid-19 non fa paura alle mafie. Anzi, diventa terreno fertile per infiltrarsi ancora di più. Le conclusioni della Relazione del primo semestre 2020 della Direzione Investigativa Antimafia presentata al Parlamento sono chiare: «L’analisi dell’andamento della delittuosità riferita al periodo del lockdown ha mostrato che le organizzazioni mafiose, a conferma di quanto previsto, si sono mosse con una strategia tesa a consolidare il controllo del territorio, ritenuto elemento fondamentale per la loro stessa sopravvivenza e condizione imprescindibile per qualsiasi strategia criminale di accumulo di ricchezza».
Le mafie hanno continuato nella loro attività di controllo del territorio e, soprattutto, per acquisire liquidità: «Questi – scrivono gli investigatori – potrebbero rivelarsi finalizzati a incrementare il consenso sociale anche attraverso forme di assistenzialismo a privati e imprese in difficoltà». Il rischio concreto, infatti, è quello che le attività imprenditoriali medio-piccole potrebbero finire in mezzo ai tentacoli della criminalità, «diventando così strumento per riciclare e reimpiegare capitali illeciti».
Un approfondimento della corposa relazione è dedicato alla provincia di Trapani: 4 mandamenti (Trapani, Alcamo, Mazara del Vallo e Castelvetrano) e 17 famiglie. A Castelvetrano il riferimento è il super latitante Matteo Messina Denaro, il cui nome spunta anche in inchieste della provincia di Agrigento. «Egli rimane il principale punto di riferimento per le questioni di maggiore interesse dell’organizzazione», c’è scritto nella relazione. Ma «benché “u siccu” continui a beneficiare di un solido e diffuso sentimento di fedeltà da parte di molti sodali, non mancano segnali di insofferenza», scrivono ancora gli investigatori della Dia. «Infatti, alcuni affiliati sono scontenti di una gestione di comando troppo impegnata a curare una sempre più problematica latitanza e a fronteggiare la forte e costante pressione determinata dalle attività info-investigative finalizzate, in larga parte, a disarticolare l’ampia rete di protezione di cui il latitante gode da decenni».
Per la Dia, infine, è storico e peculiare il legame “mafia-massoneria-politica”. Nella Relazione spunta anche l’operazione “Artemisia” svoltasi a Castelvetrano. Per la Dia «in seno alle logge massoniche occulte o deviate può infatti annidarsi un vero e proprio “potere parallelo” in grado di inquinare l’attività amministrativa e la gestione della cosa pubblica, costituendo una temibile turbativa per le istituzioni e la collettività». Della loggia segreta a Castelvetrano facevano parte politici e professionisti «che riuscivano ad orientare non solo le scelte del Comune, ma anche nomine e finanziamenti a livello regionale», scrivono ancora gli uomini della Dia.