
Murales che raffigura il volto di Matteo Messina Denaro, dipinto alle spalle della cattedrale di Palermo nel 2008
[di Rino Giacalone, Trapani] Perché è impossibile dire di “no” alla mafia evitando di essere definiti “professionisti dell’antimafia”? Questo succede perché il “no” alla mafia dà fastidio quanto raccontando fatti e cronache giudiziarie, oppure descrivendo il contenuto delle sentenze, le malefatte della nuova mafia, quella che non spara ma che gestisce imprese e appalti, emette false fatture, ottiene finanziamenti pubblici.
La mafia viene colpita ma non viene rinnegata, anzi, chi è colpito dalle indagini viene aiutato e rispetto a questa circostanza non c’è altra spiegazione se non quella che oggi la mafia c’è ed è forte, si è parecchio infiltrata, condiziona i pensieri e l’agire quotidiano, riuscendo a ottenere sempre nuovi adepti che sostenendone l’inesistenza di fatto garantiscono il suo perpetuarsi. Adepti che usano le parole come armi La “nuova” mafia serve, serve ancora a tante cose.
La mafia di Matteo Messina Denaro. La provincia di Trapani per adesso dovrebbe essere quella con addosso tanti riflettori accesi. E’ la patria di Matteo Messina Denaro, sanguinario, assassino, stragista, e oggi a capo di una incredibile holding imprenditoriale, non imprese dell’illecito ma imprese lecite che si muovono con tanto di nomi e cognomi, non oscure, nascoste, ma presenti, palpabili.
Matteo Messina Denaro è oggi definito un super latitante, 51 anni, 20 dei quali trascorsi da ricercato, eppure qui a Trapani l’intelligence investigativa sembra essere stata lasciata in libera uscita, a dispetto di quello che invece un tempo andavano dicendo Paolo Borsellino e Giovanni Falcone che era a Trapani che volevano rafforzare le strutture investigative per un semplice ragionamento: dicevano infatti che se a Palermo esisteva l’anima militare di Cosa Nostra, la cupola, a Trapani c’era ben altro, c’era la mafia infiltrata nell’economia, nelle impresa, nelle banche, dentro le istituzioni, c’èra, e c’è, la cassaforte di Cosa Nostra, e non tanto per dire perché è roba di questi anni maxi sequestri di milioni di euro, imprese, residence turistici, centri commerciali, terreni, immobili, palazzine, cantieri pubblici e privati, tutti recano il sigillo del super latitante Matteo Messina Denaro.
La mafia trapanese che un tempo ha saputo sparare (le armi non sono andate perse ma sono state messe da canto, in armadi che se serve, lo sappiamo, possono essere riaperti) oggi è sommersa, vive dentro le imprese, essa stessa è impresa, una volta faceva eleggere i politici, oggi elegge mafiosi destinati a diventare politici, è rappresentata da mafiosi dalle grandi possibilità imprenditoriali, manager del commercio e del cemento. Comune denominatore lo stesso di sempre, Matteo Messina Denaro, il boss latitante dal 1993, quello che con l’ex suo fidato gioielliere Ciccio Geraci, ora pentito, si vantava che da solo aveva riempito un intero cimitero per i suoi morti ammazzati, adesso con le mani pulite dal sangue delle sue vittime, comprese quelle delle stragi mafiose del 1993 di Roma, Milano e Firenze, Matteo Messina Denaro guida la mafia che è diventata impresa, e che è stata capace di intercettare quei fondi pubblici che sono arrivati per anni in una provincia povera che invece di diventare ricca si è ritrovata ogni giorno sempre più povera nonostante i finanziamenti pubblici giunti qui in maniera ricca e copiosa.
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di Rino Giacalone
per LiberaInformazione