Cronaca

Messina Denaro, i diari per la figlia Lorenza e quelle foto a Verona

2006, Arena di Verona. Indossa una camicia bianca e le foto lo ritraggono dapprima con gli occhiali da sole e poi con uno da vista. Così, da latitante, se ne andava in giro Matteo Messina Denaro. Le foto che lo immortalano a Verona sono contenute all’interno dei diari che il ROS dei carabinieri hanno trovato all’interno dell’ultimo covo di vicolo San Vito a Campobello di Mazara. Pensieri raccolti tra le pagine di quei diari, tra il 2003 e il 2019, che sarebbe dovuto finire tra le mani della figlia Lorenza: «Da consegnare a Lorenza nelle sue proprie mani quando le si riconoscerà una maturità intellettiva e avulsa dal condizionamento di terze persone», scriveva il padrino il 7 giugno 2014. In calce: «Per mio volere. M.M.D.». Tra le pagine i carabinieri hanno trovato anche quelle foto inedite del latitante scattate a Verona. Uno dei quaderni gli era stato regalato dalla maestra Laura Bonafede (tra i suoi soprannomi c’era anche “blu”) e dalla figlia, Martina Gentile, nel 2013 con tanto di dedica: “per te e i tuoi pensieri… da me e Tan. (il nome in codice che Messina Denaro aveva dato a Martina, ndr).

In quei diari il latitante ha annotato pensieri e citazioni letterarie e filosofiche, raccontando di un rapporto difficile con la figlia. Amore e odio. Lorenza, in prima battuta, s’è fatta chiamare col cognome della madre (Alagna), poi, pochi mesi prima che il padre morisse a L’Aquila, ha acquisito il cognome del padre, Messina Denaro. Come riporta LiveSicilia.it nei diari Messina Denaro annotava: «Anni fa avevo deciso di scrivere una lettera a mia figlia, le volevo raccontare la mia vita, solo io potevo dire la verità sulla mia vita nuda e cruda… ad un tratto però cambiarono i rapporti fra me e lei non sentì più il desiderio di parlarle e raccontarle di me… e così bruciai la lettera». Poi il capomafia ha cambiato idea: «Mi rimane oggi questo libricino che ha assunto contenuto da diario proprio a causa di mia figlia, è stata lei, suo malgrado, a trasformarlo in una sorta di dialogo da me a lei, ho cercato di fissare le mie sensazioni dopo che la nostre storie si sono separate». Tra le pagine anche il pensiero a suo padre Francesco e a sua madre Lorenza, morta mesi addietro all’età di 88 anni. Il latitante scrive di essere infelice di non averla più rivista e chiedeva perdono all’anziana madre.

(Le foto di questo servizio sono tratte da LiveSicilia.it)

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  • Trent'anni. Trent'anni di presa in giro allo Stato italiano. Trent'anni in cui Matteo Messina Denaro, l'ultimo padrino di Cosa Nostra, ha vissuto come un turista qualunque, permettendosi persino il lusso di farsi fotografare davanti all'Arena di Verona. Non un bandito in fuga, ma un signore della criminalità che si godeva la sua libertà sotto il naso delle istituzioni.

    La verità, amara come il fiele, emerge ora dai suoi diari personali, analizzati nel libro di Lirio Abbate. E che verità, signori miei. Dal 2003 al 2016, il boss più ricercato d'Italia scriveva tranquillamente le sue memorie, come un pensionato qualunque che tiene il diario delle vacanze. La differenza? Le sue "vacanze" erano una latitanza dorata, protetta da una rete di complicità che fa rabbrividire.

    Questi quaderni, ornati con le riproduzioni di Van Gogh - gusti raffinati, il nostro boss - erano destinati alla figlia Lorenza, che per 27 anni non ha voluto saperne di lui. Una figlia che lui cerca di conquistare con la sua "verità", scritta nero su bianco con la presunzione tipica dei potenti: "Solo io conosco la mia vita", dice. Come se trent'anni di stragi, sangue e crimini potessero essere riscattati da qualche pagina di memorie autografate.

    Ma la domanda che dovrebbe toglierci il sonno è un'altra: come è stato possibile? Come ha fatto un uomo, per quanto astuto, a sfuggire per tre decenni a uno Stato che si definisce moderno? La risposta è semplice quanto inquietante: non era solo. Dietro questa latitanza c'è una ragnatela di complicità che attraversa ogni strato della società italiana, dalle strade di Castelvetrano fino ai palazzi del potere.

    L'arresto nel gennaio 2023 e la morte a settembre hanno chiuso il sipario su questa farsa tragica. Ma attenzione: la cattura di Messina Denaro non significa che il sistema che lo ha protetto sia stato smantellato. Quella rete invisibile, tessuta con i fili della corruzione e dell'omertà, potrebbe essere ancora lì, pronta a proteggere il prossimo boss.

    I suoi diari, ora, sono come una confessione postuma che fa più domande di quante risposte dia. Sono la testimonianza di un potere criminale che ha riso per trent'anni della nostra giustizia, dei nostri valori, della nostra democrazia. E forse, ancora più grave, sono la prova che qualcuno, da qualche parte, ha lasciato che tutto questo accadesse.

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Redazione