Non conosce tregua la vicenda dell’Efebo di Selinunte

Filippo Sisagusa

Non conosce tregua la vicenda storica dell’Efebo di Selinunte. “Lu Pupu” in gergo detto, che si trova nel museo di via Garibaldi, continua far discutere. Stavolta a “scuoterlo” dal suo silenzio è l’intenzione di cambiargli addirittura il nome e assegnarlo ad una collocazione storica diversa da quella fin qui conosciuta.

Secondo particolari studi effettuati negli anni, dal castelvetranese Giuseppe Camporeale iconologo e storico dell’arte non si dovrebbe più chiamare “Efebo” ma “Dioniso Íakchos” in ragione di particolari studi iniziati addirittura nel 1976 a Parigi, e che avrebbero rivelato allo studioso castelvetranese un particolare collegamento tra la pianta del Selino , il Dio Dioniso e la famosa statuetta e con tali deduzioni Camporeale precisa che non si può più chiamare Efebo. L’annuncio dei risultati scientifici sulla storica e tergiversata statuetta, oltre a sorprendere buona parte del mondo accademico e scientifico, ha spiazzato anche molti castelvetranesi.

Il cambio del nome di “lu pupu” mettere in difficoltà tante associazioni e attività più o meno culturali che avevano dedicato la loro ragione sociale alla statuetta ritrovata da un giovane pastore in contrada Ponte Galera nel lontano 1882. Tiepidi se non distaccati i commenti di alcuni rappresentanti del mondo scientifico ed istiuzionale. Il direttore del Parco di Selinunte Leto Barone, non sapeva nulla, almeno ufficialmente, dei risultati della ricerca, ed il professore Sebastiano Tusa archeologo, sovrintendente del mare della Regione Sicilia, e profondo conoscitore di Seliununte(figlio di Vincenzo Tusa , archeologo a cui è stato intestato il parco di Selinunte).Prende le distanze da questo possibile cambiamento di nome all’Efebo.

Ho letto sul web di questa ricerca effettuata da Giuseppe Camporeale. Ovviamente è poco, per poter dare una valutazione scientifica. In questi casi, come procedura vuole, occorre supportare le ricerche e soprattutto le scoperte eseguite, con dettagliati dossier documentali, e renderli pubblici attraverso pubblicazioni su riviste ufficiali del settore o tramite l’Università, in modo tale che tutti possano studiarne l’importanza. Fino a quando non vedrò i documenti a supporto, per me l’Efebo rimane con il suo nome.

Secondo gli studiosi , l’efebo fu realizzato tra il 480 e il 460 a.C. Considerato da sempre un reperto di altissimo valore è stato più volte rubato e ritrovato. Incredibilmente, alcuni sindaci di Castelvetrano, negli anni 60 lo usavano come cappelliera .La notte del 30 ottobre 1962 l’Efebo venne rubato e i banditi ordinati da Francesco Messina Denaro tentarono di venderlo a collezionisti.Il comune di Castelvetrano fu pure ricattato con una richiesta di riscatto di 30 milioni di lire per riaverlo.Nel 1968 la polizia, organizzò un’azione di recupero che portò all’arresto di quattro persone. L’Efebo, tolto ai malviventi fu portato a Roma per un lungo periodo , all’Istituto Centrale di Restauro.

La statua venne riportata nelle migliori condizioni possibili. Tra le osservazioni fatte dall’ Istituto romano, spicca la notizia per cui, già all’epoca della fusione, erano avvenuti alcuni guasti subito riparati dall’artigianato selinuntino, tramite fasce di metallo aggiunte all’altezza del torace e delle gambe. Gli studiosi di Roma fecero riferimento al giudizio di Pirro Marconi(insigne archeologo) riportato nella sua pubblicazione sull’Efèbo del 1928 riferiva di “adolescente nudo, ritto, stante sulla gamba sinistra, si presenta esile, dallo scarso sviluppo muscolare, dunque lontano dall’ideale atletico della plastica greca”.

Anche il professore Francesco Saverio Calcara in una sua articolata pubblicazione sull’Efebo riferisce degli studi di Pirro Marconi e di lavori di restauro presso l’istituto romano fino al 1979 senza citare correlazioni con Dioniso.

Filippo Siragusa
per GdS

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