Di Gianni Diecidue, per un certo periodo, com’è frequente per un adolescente dinanzi ad una persona più anziana Nicola assorbì anche i toni e le inflessioni della voce, la postura, il modo di camminare, taluni “ tic “. Fumava in continuazione, proprio come Diecidue, una sigaretta dopo l’altra, soprattutto quando scriveva. Politicamente era schierato a sinistra ma senza fanatismi, era un “ cane sciolto “, perciò simpatizzava con l’anarchia di Gianni Diecidue, a sua volta ereditata dal padre. Ma la sua non era un’anarchia che faceva capo ad un movimento politico, era piuttosto uno strumento, un atteggiamento culturale “ aperto “, “ laico “ che gli consentiva di affermare la sua indipendenza da ogni forma di fanatismo, di spirito gregario e settario, di servilismo. Nicola teneva molto alla sua indipendenza, alla sua libertà di scelta, alla sua “ preziosa” individualità.

Era una persona molto critica verso la società, verso le sue modalità di funzionamento e di organizzazione, verso le sue ingiustizie, verso il modo in cui essa, per esempio, complici in prima fila, le classi dirigenti politiche, deturpavano, con la cementificazione selvaggia, il paesaggio naturale ma anche la “ struttura storica “ dell’urbanistica e dell’architettura delle città o le opere d’arte del passato. Non fu casuale, allora, la nostra lettura attenta e il nostro apprezzamento del libro – denuncia contro la speculazione edilizia “ Mirabilia Urbis “ di Antonio Cederna o del film “ Le mani sulla città “ di Francesco Rosi, come anche delle opere di Leonardo Sciascia, soprattutto, “ Le Parrocchie di Regalpetra “ e “ Il Giorno della Civetta “.

Insomma, naturalmente, seppure inerme ed inoffensiva, eravamo, intellettualmente, una piccola compagnia “ antimafia “. E questa critica “ attiva “, ovviamente “ da sinistra “, era condivisa da Gianni, ma anche da un altro personaggio “ difficile “, “ eccentrico ” di quei tempi, cioè dal nostro amico Sebastiano Elia, uomo colto, socialista, ma burbero, inflessibile e piuttosto misantropo. Eravamo negli anni ’60 – 68 Si pose, allora, il momento, prima per Nicola, poi, per me, della scelta della Facoltà universitaria. Io, più grande di lui di due , tre anni,“ incanalato “ dai miei professori e dalla mia famiglia, scelsi Lettere, Nicola, ancora al Liceo, iniziò a parlarmi del suo desiderio di divenire psico – analista.

A questo punto le nostre discussioni si aprirono al pensiero di Freud, Jung, Adler ed alle loro opere. A distanza di tanti anni, proprio ora che il mio carissimo amico e fratello, Nicola Di Maio, tardivamente ritrovato un paio d’anni fa, e, da pochi giorni, improvvisamente scomparso, dovendo e volendo, per una mia insopprimibile necessità affettiva, scriverne per ricordarne la memoria e, spero, anche, per condividerla con tanti altri, mi sono posto l’intrigante domanda : Perchè egli, per tanto tempo, accarezzò l’dea di studiare psicoanalisi per divenire “ medico dell’anima “ e perché, presto, abbandonò quest’idea ?

Andando a ritroso nel tempo per raccogliere i miei ricordi legati a lui, credo che Nicola, da sempre, abbia avuto la tendenza spontanea all’introspezione, alla conoscenza interiore di sé e degli altri. Una tendenza non maniacale ma molto semplice, naturale. E credo anche che le sue scelte sia delle amicizie sia degli autori letterari, in qualche modo, possano essere state influenzate da questa suo istintivo interesse, dal fascino, molto bonario che egli sentiva nella possibilità di conoscere quelle che il grande Eduardo definiva “ le voci di dentro “. Voglio dire, insomma, che Nicola aveva una dote rara negli esseri umani, cioè una forte carica “ empatica “ istintiva che gli permetteva di rapportarsi agli altri in modo semplice ma decisamente “ affettivo “ e “ solidale “.

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