san giovanniAlla fine del ‘600, con la proclamazione di S. Giovanni Battista a principale patrono della città, giunge a conclusione un processo lungo e travagliato, le cui implicazioni non furono solamente religiose ma anche espressione di dinamiche sociali che coinvolsero i prìncipi, le grandi famiglie della nobiltà comunale, gli ordini religiosi, le corporazioni, le confraternite e, più in generale, lo spirito municipalistico, teso a costruire, anche attraverso la dimensione del sacro, l’identità cittadina sia sul piano simbolico sia su quello politico.

Tale percorso si era iniziato col patronato di San Gandolfo, poi con quello di San Giacomo, quindi con S. Rosalia, la Vergine Immacolata, S. Francesco da Paola e finalmente S. Anna, in un succedersi di complesse vicende, vera e propria “guerra dei santi”, pel cui approfondimento si rimanda al volume “La città palmosa”, primo organico tentativo di storia castelvetranese, scritto da A. Giardina e da me, e di cui è in preparazione il II volume.

Nel 1695, anche Sant’Anna fu sostituita, forse in conseguenza di nuove dinamiche sociali, nelle quali, all’interno della comunità castelvetranese, emergeva la rivalità tra i due autorevoli ordini dei Domenicani e del Francescani riformati, ma anche il confronto tra due diversi modelli di santità. L’iniziativa fu assunta dal fra’ Antonino Maria Cingales, dell’ordine dei Predicatori di S. Domenico, il quale, vantando di avere condotto da Roma un osso della gamba di S. Modesto (la “guerra dei santi” era anche una “guerra di reliquie”!), propose l’elezione a protettori di Castelvetrano dei santi “selinuntini” Vito, Modesto e Crescenza. Si trattava di portare a compimento, anche sul  piano del sacro, quel processo identificatorio tra Castelvetrano e l’antica Selinunte, elemento basilare del mito fondativo della città. Ci soccorre in tal senso quanto scrive, il 27 ottobre 1695, il notar Antonio Fratello nell’atto di elezione dei predetti Santi a patroni di Castelvetrano.

Dopo avere ricordato come questa Università abbia sempre esercitato la sua giurisdizione sul litorale dove sorgeva la celeberrimam et antiquissimam, ac prostratam Selinuntem e aver specificato che Mazara e Sciacca erano solo gli empori dell’antica colonia greca, ribadisce l’ipotesi della fondazione di Castelvetrano constructa pro custodia et refugio… senium Selinuntinorum militum veteranorum aer perniciosum fugientium ut Castrum Veteranum ethimologice exprimit, et prisca aetas nobis trasfudit; precisa che Castelvetrano ha lo stesso emblema dell’antica Selinunte e si disseta alle stesse sorgenti, cosicché …iure optimo Sanctorum, Viti, Modesti et Crescentiae ac aliorum quatricentorum martyrum patrocinio tamquam civium modo gloriari potest.

L’idea forte era quella di scegliere, come protettori, dei santi locali; anzi dei concittadini, come venivano considerati i 400 martiri che, secondo la tradizione popolare, ripresa, come detto, dal Gaetani, sarebbero stati giustiziati lungo le sponde del Modione, e tra questi il nostro S. Vito. Quell’atto notarile, basato su una serie di erudite e suggestive argomentazioni, ispirate non a caso da fra’ Pietro Martire Scandariato, prima penna oratoria della commendabile Religione di S. Domenico, come lo definisce il Noto nella sua Platea, non poteva tuttavia sortire gli effetti sperati, sia perché l’esistenza dei 400 martiri selinuntini era solo una credenza comune non suffragata da convincenti documenti storici, sia perché fortissima dovette essere l’opposizione dei mazaresi.

Essi infatti, convinti com’erano, e come saranno fino al primo Ottocento, che Mazara fosse l’antica Selinunte “rediviva”, memori forse ancora dello scompiglio provocato qualche tempo prima dal castelvetranese Brandimarte che, come si ricorda, predicando nella loro Cattedrale, aveva definito Selinunte “mia patria”, videro nella risoluzione di Castelvetrano un attacco alle illustri origini di Mazara, alla quale si pretendeva, oltretutto, di strappare l’onore di aver dato i natali a S. Vito che, come per decreto di mons. Marco La Cava all’ 8 settembre 1614, era stato innalzato a principale protettore di quella città. L’atto, suggerito dai Domenicani di Castelvetrano, era un durissimo colpo a tutta una costruzione agiografica concernente S. Vito, di cui a Mazara si indicava, e ancora si indica, in modo “indubitabile”, la casa natale e il pozzo di acque ritenute miracolose; del quale si enumeravano le tante reliquie (osso del braccio, della gamba, il cuore e altro) che la pietà dei vescovi aveva pazientemente raccolto; al quale erano state dedicate due chiese, l’una in urbe, l’altra extra moenia; di cui moltissimi si vantavano di portare il nome e al quale si tributavano magnifiche feste.

AUTORE.   Francesco Saverio Calcara & Aurelio Giardina