
Francesco Saverio Calcara
foto. Polizzi
Per quanto mi riguarda, la mia decisione di non andare a votare è scaturita dalla lettura del quesito che concerneva un fatto puramente tecnico e non ci azzeccava niente con tutta la propaganda di un certo ambientalismo radicale, che ha fatto leva sull’emotività e sugli slogan di bassa lega (impagabile quel “Trivella tua sorella”, di vago sentore maschilista) che nulla, ma proprio nulla, avevano a che spartire col quesito referendario.
La decisione di astenermi dal voto, con buona pace di tutto il coro degli “indignati”, è perfettamente legittima, trovando la sua ratio nell’art. 75 della Costituzione. Infatti, nel caso del referendum abrogativo, anche l’astensione è una espressione di volontà.
Se per questo tipo di referendum i costituenti hanno previsto un quorum da raggiungere, è chiaro che quel “non-voto” ha un peso determinante: influisce (in maniera del tutto legittima) a non far raggiungere il quorum, indebolendo, anzi annullando, il referendum abrogativo stesso. Dunque l’astensione dal voto è un modo per esprimere una certa volontà. Inoltre, se volessimo aggiungere un’argomentazione più “civica”, potremmo sottolineare come la chiamata al voto, nel referendum abrogativo, arrivi soltanto da una parte del corpo elettorale (non dalla Repubblica, come nel caso delle votazioni politiche, di cui all’art. 48) e il non-voto non metterebbe di certo in questione la qualità della vita democratica.
Entrando poi nel merito del quesito, lasciando stare le motivazioni occupazionali (in caso di vittoria del Sì, circa settemila lavoratori impiegati nel settore avrebbero perso il posto di lavoro) e le motivazioni economiche (dismettere gli impianti prima del tempo significa chiaramente un costo enorme per le spese di ammortamento, perché vuol dire non usare quell’impianto per l’intera vita operativa per cui era stato progettato), voglio discutere di seguito i motivi per cui non andare a votare per non fare raggiungere il quorum, previsto dal detto art. 75 della Costituzione, mi è sembrata la soluzione più “sostenibile.
In tal senso, mi hanno convinto le motivazioni della geologa Michela Costa, che di seguito riassumo:
1) Lo stop che prevedeva il referendum riguardava più il gas metano che il petrolio. In Italia il petrolio, l’oggetto più demonizzato dalle campagne “No-Triv”, viene estratto per la maggior parte a terra e non in mare. Gli impianti che erano oggetto del referendum estraggono fondamentalmente metano, che, sebbene fossile, è una fonte di gran lunga meno dannosa del petrolio e ancora per molti versi insostituibile (attualmente il 54% dell’offerta energetica mondiale). Nella pagina del sito dell’Ufficio Nazionale Minerario per gli Idrocarburi e le Georisorse, vi è l’elenco completo delle piattaforme oggetto del referendum (quelle entro i limiti delle 12 miglia), la profondità del fondale (dato spesso sottovalutato, ma molto importante) e il tipo di combustibile estratto. Nonostante Greenpeace si sia fatta portavoce di immagini con ragazzi in costume da bagno ricoperti di catrame e poveri pennuti starnazzanti nel petrolio, scorrere velocemente l’elenco degli impianti farà capire brevemente come la percentuale di impianti a GAS sia in netta maggioranza rispetto a quelli a OLIO. Questo si traduce con una sola frase: Siamo disinformati e pronti ad abboccare a qualsiasi cosa, basta che sia green.
2) la vittoria del Sì avrebbe portato comunque alla costruzione di altri impianti. La costruzione di piattaforme entro le 12 miglia è vietata per legge dal 2006 (comma 17 dell’art. 6 del D.Lgs 152/06) e su questo possiamo stare sereni. La vittoria del Sì non avrebbe potuto, però, impedire alle compagnie di spostarsi e costruire nuovi impianti poco oltre questo limite. Praticamente con il Sì si sarebbe detto alle compagnie: “Sentite, anche se avete ancora un botto di gas da estrarre in questo giacimento, chiudete tutti i rubinetti e spostatevi più lontano oppure andatevene in un altro paese”. Il Sì, avrebbe significato questo, ridotto ai minimi termini. La compagnia allora avrebbe potuto scegliere se non cambiare stessa spiaggia stesso mare, dismettere l’impianto entro le 12 miglia e farne, per esempio, uno nuovo a 12,5 miglia (li dove nessuno potrà lamentarsi di nulla), oppure andare a cercare giacimenti altrove, sulla terraferma o in altri paesi. Ma inevitabilmente, altri impianti saranno costruiti e altri saranno potenziati, per sopperire al fabbisogno energetico. Se vietiamo l’utilizzo degli impianti esistenti, da qualche altra parte questo gas dovremo andarlo a prendere, no?
3) La vittoria del Sì non avrebbe scongiurato alcun rischio ambientale, anzi, avrebbe contribuito ad aumentare l’export petrolifero e quindi anche l’inquinamento. Ora, immaginiamoci un disastro ambientale, un grave incidente a una piattaforma petrolifera posizionata “correttamente” e cioè oltre il limite delle 12 miglia. Pensate davvero che un miglio, 5 miglia o anche 20 miglia possano fare la differenza? Sarebbe comunque una catastrofe e nessun vascello di Greenpeace o panda del WWF potrebbe correre avanti e indietro e fare da barricata all’avanzare del petrolio verso le coste. In più, lo stop delle piattaforme esistenti si tradurrebbe in un maggiore traffico di petroliere che vanno a spasso per i nostri mari per portarci i combustibili che noi abbiamo deciso di non estrarre più, ma di cui avremo ancora bisogno. Petroliere alimentate a petrolio, che trasportano petrolio e che possono esplodere o essere soggette a perdite e sversamenti. Senza dimenticarci che, sempre in Adriatico, anche la Croazia e la Grecia trivellano e, in futuro, avrebbero potuto attingere ai giacimenti che l’Italia avrebbe abbandonato in caso di vittoria del Sì. Insomma, a livello di rischio ambientale non cambia proprio nulla.
4) La vittoria del Sì non si sarebbe tradotta in una politica immediata a favore delle energie rinnovabili che a conti fatti da sole non possono ancora bastare. Cosa vi aspettavate, che all’indomani della cessazione delle attività nelle piattaforme, l’Italia magicamente si sarebbe sostenuta solo con le rinnovabili? Siamo d’accordo che l’utilizzo dei combustibili fossili non è una pratica sostenibile. Ma appunto per questo bisognerebbe puntare non alla costruzione di altri impianti, bensì allo sfruttamento residuo di quelli già esistenti che devono fare da supporto alle energie rinnovabili sempre più in crescita ma non ancora autonome. In un futuro (credo ancora troppo lontano) si auspica l’utilizzo esclusivo di energie rinnovabili, ma ciò deve essere fatto un passo alla volta, con la consapevolezza che un periodo di “transizione” è fisiologico e l’utilizzo delle fonti fossili, soprattutto del gas, ci dovrà accompagnare in questo passaggio. In poche parole, se togliamo il gas e il petrolio dobbiamo essere in grado di sostenere subito “la baracca” in un altro modo altrettanto efficiente. Le stesse Greenpeace, Legambiente, Marevivo, Touring Club italiano e WWF hanno detto: “quello che serve per difendere una volta per tutte i nostri mari è il rigetto immediato e definitivo di tutti i procedimenti ancora pendenti nell’area di interdizione delle 12 miglia dalla costa e una moratoria di tutte le attività di trivellazione a mare e a terra, sino a quando non sarà definito un Piano energetico nazionale volto alla protezione del clima e rispettoso dei territori e dei mari italiani”. Ok, siamo d’accordo, ma nel frattempo che definiamo il Piano energetico, l’Italia come vivrà?
5) Il referendum era uno strumento inadeguato, faceva leva sulla disinformazione dei cittadini e sulla cattiva immagine che una trivella ha nell’immaginario comune. Non è un referendum lo strumento più adatto per risolvere un tema così complesso e così tecnico. O meglio, potrebbe esserlo se fossimo tutti degli esperti di coltivazione d’idrocarburi, ma non lo siamo. Trivellare non vuol dire necessariamente essere contro le politiche green, anzi, la normativa di settore è piuttosto severa e restrittiva nei confronti delle concessioni e degli adempimenti a cui le compagnie devono prestare attenzione.
6) Non è vero che la presenza degli impianti abbia ostacolato il turismo… Se così fosse, il litorale romagnolo (dove ci sono il maggior numero di impianti) non registrerebbe ogni stagione i flussi turistici che sono invece ben noti. Così anche la Basilicata. In poche parole il turista da peso ad altre cose, e non alla presenza delle piattaforme.
7) …e non è vero neanche che l’estrazione di combustibili dal sottosuolo può innescare terremoti come quello avvenuto anni fa in Emilia.
8) La vittoria del Sì avrebbe contribuito allo sfruttamento dei paesi in via di sviluppo. Dal momento che nel giro di qualche anno verranno dismesse le nostre piattaforme e che il passaggio verso le rinnovabili è ancora qualcosa di molto lento, la vita continua e noi dovremo pur accendere i fornelli di casa e per farlo ci servirà ancora del metano. Metano che le compagnie si dovranno andare a cercare da qualche altra parte e che ci venderanno (a costi più cari, ma questa è un’altra storia che ricorda tanto quello che successe per il nucleare).
E noi lo compreremo questo metano, lo compreremo più caro ma con la coscienza più pulita perché siamo ambientalisti e abbiamo detto che il nostro mare “non si spirtusa”. Il nostro mare, appunto. Per fortuna arriva Claudio Descalzi, amministratore delegato Eni che, a braccetto di Renzi, già un paio d’anni fa esclamava soddisfatto: “In Mozambico l’Eni ha fatto la più importante scoperta di gas della sua storia: 2.400 miliardi di metri cubi di gas che consentirebbero di soddisfare il bisogno degli italiani per trent’anni”. Inutile dire quanto poco gliene possa fregare del gas agli abitanti del Mozambico, loro che non hanno né fornelli né automobili. Noi quindi ci prendiamo da loro gas e petrolio e loro si prendono solo gli eventuali rischi più qualche spicciolo che andrà nelle casse del governo locale. Molto comodo essere, o meglio, fare gli ambientalisti così, vero?
Sarebbe interessante, infine, sapere quanti tra questi paladini del Sì sarebbero stati disposti poi a un comportamento ineccepibile dal punto di vista energetico. Questo avrebbe significato non solo fare la differenziata e andare in bicicletta.
Avrebbe significato essere pronti, per coerenza personale, a rinunciare, all’indomani di una ipotetica vittoria, a qualsiasi forma di utilizzo dei combustibili fossili. Avrebbe significato non possedere né auto né moto che non fossero elettriche; avrebbe significato non viaggiare né in aereo né in nave; avrebbe significato avere una casa totalmente sostenuta da rinnovabili, con stufe a pellet o i raggi infrarossi; avrebbe significato non comprare tantissimi articoli che fanno parte della nostra vita quotidiana e per la produzione dei quali vengono usati combustibili fossili.
Insomma, avrebbe significato essere degli integralisti energetici, avere uno stile di vita molto più che green. Ma quanti, tra quelli che hanno votato Sì avrebbero mantenuto una condotta del genere?
Francesco Saverio Calcara
AUTORE. Altre Fonti
Come geologo non posso non concordare su quanto espresso. Vorrei aggiungere che le vere motivazioni che hanno spinto al referendum sono principalmente politiche visto che ben oltre il 50% di chi ha votato sì ha dichiarato di averlo fatto per mandare a casa il governo. Altro che ecologismo…
Commenti parecchio sterili derivati non solo dalla mancanza di informazione come ha anche giustamente espresso il Sig. Calcara ma anche ragionamenti scaturiti senza elasticità mentale. Appena sono arrivato al punto 3 ho smesso di leggere. Ho trovato veramente una atrofia intellettiva facilmente contrastabile. Motivazioni che io smonto in 2 secondi una per una. Ma siccome mi sono veramente annoiato troppo ogni volta di dover fungere da professore a dispetto di chi già lo è per professione (o lo è stato). Chiudo il commento in modo volutamente quasi inutile e fine a se stesso senza dare motivazione del mio “attacco”, non ne vale la pena.
PS: è palesemente vera l’accusa rivolta da un blogger a coloro i quali si sono astenuti: “l’Italia e la Sicilia in modo particolare… non è abituata a ste forme di libera manifestazione di pensiero, alla DEMOCRAZIA, senza che ci sia di mezzo uno scambio di FAVORI, non è abituata ad andare alle urne se non c’è qualcuno da votare… qualcuno che un domani possa tornarci utile perchè noi gli abbiamo dato il voto!, qualcuno che può essere il parente… l’amico… il conoscente”.
Che schifo.
Questo referendum ha dato la misura di quanto per molti italiani non sia più importante andare a votare.Non credo proprio che tra chi si sia astenuto ci sia dietro un ragionamento come quello del prof. Calcara. La maggior parte degli astenuti non hanno votato perchè oramai il voto, la partecipazione alla vita democratica, o pseudo tale,è ritenuto inutile,tanto poi, nelle stanze del potere, si decide tutto e il contrario di tutto.Oramai il disinteresse generale verso il mondo politico ha superato la soglia limite e quindi non si va a votare perchè a molti non importa proprio il bene comune, il bene pubblico, compreso il loro. Quindi escluderei alla base che la maggior parte dei non votanti abbia fatto questo ragionamento o abbia letto l’articolo della geologa menzionata. A questo proposito, io l’ho letto e non è vero che il SI avrebbe significato da domani un ritorno all’età della pietra, per non parlare della riviera romagnola come un luogo turistico di mare!Da almeno 30 anni il turismo romagnolo si basa su tutto, eccetto che sulla bellezza incontaminata del suo splendido e limpido mare!Quindi in una nazione alla deriva, quale è la nostra, non parliamo di astensione al voto, perchè appena ci saranno le politiche rideremo tutti, ma proprio tutti!
http://www.huffingtonpost.it/deborah-dirani/ma-lastensionismo-non-e-liberta-e-ignoranza-democratica_b_9717854.html?ref=fbpr
Poiché non ci sto né a prendermi della bestia ignorante né dell’ignorante democratico dai soliti maestrini che altro non sanno fare se non copiare siti e sfornarli a commento, come se si trattasse del Verbo rivelato, continuo ad insistere sulla questione astensionismo, nella speranza di suscitare un dibattito nel merito, fatto di argomentazioni e non di slogan.
1. Dal punto di vista etico ogni cittadino è tenuto a contribuire al bene comune, a configurare una società moralmente buona. Rinunciare a questo contributo è una forma di disimpegno grave. Questo dovere di produrre una società buona determina il dovere di votare se e quando col voto si può contribuire al bene comune; ma comporta altresì il dovere di non votare quando il proprio voto (quale che sia) rende una società più ingiusta.Perciò, quando l’astensione dal voto è motivata, quando è frutto di una riflessione e di una ponderazione, e quando costituisce proprio il mezzo per configurare una società buona o meno ingiusta di quella che si determinerebbe votando, essa non rappresenta una forma di disimpegno e di abdicazione dalla propria responsabilità, bensì è proprio la scelta moralmente migliore, anzi doverosa se consente di evitare un aumento di ingiustizia.
Facciamo un esempio: siamo in Germania e c’è un referendum che vuole reintrodurre il nazismo. Gli orientamenti di voto fanno prevedere che in caso di raggiungimento del quorum prevarranno i sostenitori del nazismo, che potranno dunque reintrodurlo, mentre se il quorum non sarà raggiunto il referendum fallirà e la Germania non ripiomberà nella barbarie: è chiaro che, in questa situazione, chi va votare, quale che sia il suo voto, provoca la rinascita del nazismo, perché contribuisce al raggiungimento del quorum.
2. Non ha senso l’appello al popolo mediante un referendum su tematiche tecnicamente complesse e che richiedono una speciale competenza, come nel caso delle trivelle. Oltretutto in questa campagna referendaria i cittadini non sono stati aiutati a formarsi un giudizio, perché essa non si è svolto ad armi pari, visto che la stragrande maggioranza dei mezzi di comunicazione ha scelto di non articolare un dibattito, bensì di dare voce quasi ad un monologo, cioè ha scelto di far parlare solo i sostenitori del cosiddetto Notriv. E, nei pochi dibattiti che ci sono stati, l’arbitro si è rivelato quasi sempre di parte.
3) Ripeto quello che qualcuno si ostina a non capire. È vero che l’art. 48 della Costituzione precisa che l’esercizio del diritto di voto è un dovere civico, ma questo articolo non si riferisce anche ai referendum abrogativi, che sono disciplinati dall’art. 75, il quale fissa un doppio quorum per un referendum, nel senso che la proposta soggetta a referendum è approvata «se è raggiunta la maggioranza dei voti, ma a condizione che abbia partecipato alla votazione la maggioranza degli aventi diritto». Dunque è proprio la Costituzione ad ammettere che l’elettore possa legittimamente non partecipare alla votazione: votare al referendum non è un dovere, visto che lo stesso legislatore ha fissato un quorum. Altrimenti vorrebbe dire che la Costituzione autorizza un comportamento che pur considera inaccettabile.
Elementare.
Premesso che riassumere, secondo il dizionario “Sabatini Coletti”, vuol dire:
“Esporre sinteticamente, in forma orale o scritta, il contenuto di discorsi, scritti, opere”
mentre per il dizionario Treccani, che usa altri termini, significa:
“di discorsi e scritti, o anche di spettacoli, condensarne il contenuto in un minore numero di parole…”, mi sembra che il professore Francesco Saverio Calcara non si è limitato a riassumere ciò che aveva scritto l’esperta geologa ma ne ha riportato, per filo e per segno ogni singola parola.
Forse che sintetizzarne le convinzioni non sarebbe stato sufficiente a dimostrare che non è una bestia!!!
Ciò detto, pur evitando di entrare nel merito dei contenuti delle sue brillanti osservazioni vorrei sottolineare che la determinazione del risultato di un referendum, così come è prevista dalla Costituzione, non è equa in quanto chi è per il SI’ ha soltanto una possibilità su tre di vedere accolte le proprie istanze mentre, chi è per il NO:
1° – può andare a votare (NO) ovvero…
2° – può tranquillamente rimanersene a casa sperando che la sua mancata partecipazione al voto faccia venire meno il quorum.
Eviti pertanto il “Professore” di arringare ex cathedra il “popolino ignaro” riempiendosi la bocca dell’art. 75 della Costituzione poiché soltanto gli ignavi decidono di vivere “sanza ‘nfamia e sanza lodo” e non anche chi ritiene di non essere una bestia… e poi:
Ha forse voluto l’illustre professore dire che chi è andato a votare è una bestia?
Ci illumini ulteriormente!!!
legga questo e capisca cosa comporta la sua scelta insieme alla scelta del 70% degli italiani. Riflettete e informatevi bene.
Italia 49esimo produttore di petrolio per quantità, ma il Paese è un ‘paradiso fiscale’
Le prime 20 tonnellate di petrolio prodotte in terraferma, come le prime 50 mila tonnellate estratte in mare, i primi 25 milioni di metri cubi di gas in terra e i primi 80 milioni in mare, sono esenti dal pagamento di aliquote allo Stato.
Nel 2010 in Italia, in terra e in mare, sono stati estratti 8 miliardi di di metri cubi di gas e 5 milioni di tonnellate di petrolio, a fronte di un consumo nazionale medio annuo di 93 milioni di tonnellate di petrolio greggio e di 63,8 miliardi di metri cubi di metano. Un contributo che, a livello globale, piazza l’Italia al 49esimo posto della classifica dei produttori di petrolio per quantità, pari allo 0,1% del totale (Bp Statistical Review of world energy, giugno 2010). Poco e di bassa qualità, il petrolio italiano fa gola dunque più per le agevolazioni fiscali.
E’ la posizione del Wwf che nel dossier “Milioni di regali” passa in rassegna il panorama italiano delle trivelle. In Italia, si legge nel dossier, le prime 20 tonnellate di petrolio prodotte in terraferma, come le prime 50 mila tonnellate estratte in mare, i primi 25 milioni di metri cubi di gas in terra e i primi 80 milioni in mare, sono esenti dal pagamento di aliquote allo Stato. Le royalties sul prodotto estratto sono le più basse al mondo, nonostante l’aumento previsto dal decreto ‘Cresci Italia’ che prevede un incremento delle royalties dal 7% al 10% per il gas e dal 4% al 7% per il petrolio, mentre nel resto del mondo si applicano royalties che vanno dal 20% all’80% del valore degli idrocarburi estratti.
Sulle produzioni su cui gravitano le royalies bisogna togliere ancora le riduzioni del valore unitario delle aliquote di prodotto della coltivazione di idrocarburi, con oscillazioni annuali, che per il 2010 sono quasi 19 euro per tonnellata di olio prdotto in terraferma e un po’ più di 37 euro per tonnellata di olio prodotto in mare. Grazie ai meccanismi di esenzione italiani, delle 136 concessioni di coltivazione a terra attive sul territorio nazionale, solo 21 hanno pagato royalty nel 2010 e su 70 coltivazioni a mare, solo 28 le hanno pagate. Si aggiunga che su 59 società che operano in Italia, i gruppi che pagano royalty sono solo 5: Eni, Shell, Edison, Gas Plus Italiana, Eni Mediterranea Idrocarburi.
Il petrolio lo svendiamo! Questa libertà data a tutti da parte nostra non apporterà altro che il colpo di grazia alla nostra terra! A casa nostra!
Astenersi al voto è semplicemente una scelta sbagliata.
Maria Rosaria, tutto quello che scrive non c’entra niente col referendum. Ma insomma, vi siete dati la pena di leggere almeno il quesito?
Signor Sala, se la prenda coi padri costituenti, non col prof. Calcara che ha solo ricordato come stanno le cose. Di fatto, anche al Senato, ad esempio, l’astensione equivale a voto negativo; e in tutte le assemblee elettive oltre al voto favorevole o contrario è prevista l’astensione.
Premesso che le leggi sono fatte dagli uomini ed in quanto tali non potranno mai essere perfette/eque, c’è da dire che quando si vuole aggirare una legge è sufficiente che il legislatore, depenalizzi un reato o ne cambi i parametri che ne determinano l’esistenza.
Per esempio, volendo evitare di chiudere uno stabilimento poiché l’aria è inquinata atteso che la legge dice che non vi possono essere più di ics microgrammi di ossido di carbonio o di altre sostanze nocive per metro cubo di aria, è sufficiente che il legislatore aumenti, per decreto, tali percentuali e tutto rientra nella norma.
BELLO NO???
Relativamente poi a quanto argomentato dal professor Calcara circa la possibilità di reintrodurre, a seguito di referendum, il nazismo, temo che ancora una volta il professore abbia dato una propria interpretazione che, francamente, non mi sento di condividere.
Non infatti andando a votare prevarranno i sostenitori del nazismo, anzi, al contrario, ritenendo di vitale importanza il quesito preso ad esempio, c’è da presumere che sarà non andando a votare che si favorirà la rinascita del nazismo poiché se tutti quelli che sono contrari vanno a votare, E NEL CASO IN QUESTIONE RITERREI INELUDIBILE ANDARE AD ESPRIMERE LA PROPRIA CONTRARIETA’, il nazismo non potrà mai risorgere.
Il professore pertanto, assieme a tutti quanti gli altri che la pensavano come lui, avrebbe potuto benissimo andare a votare NO senza, nel farlo, correre il rischio di apparire bestia;
a meno che i contrari al referendum non fossero stati meno di quelli che erano favorevoli.
p.s. per il signor Franco:
la risposta a quanto da lei argomentato trova riscontro nel primo periodo di questo mio commento mentre temo che l’astensione non equivalga affatto ad un voto negativo in quanto, non essendoci alcuna pronuncia in merito, essendo indubbio che “chi tace non dice niente”, chi non vota non esprime alcuna opinione.
Overthinking, come si direbbe in certi ambienti.
Il governo cambia il 28 Dicembre una legge presente da 10 anni per permettere di tenere in vita piattaforme finchè ne hanno voglia le compagnie, questo perchè pagano le tasse in base a quello che estraggono, ovvero estraggo poco e pago niente, nel frattempo se debbo dismetterla non me ne preoccupo perchè non ho piu’ un contratto… pertanto la concessione a vita mi permette di mantenerla li PER SEMPRE. Comunque è vero in vita mia, e sono particolarmente giovane, ne ho viste tante leggi cambiate PER IL POPOLO. Vi hanno fatto guardare la mano con il mazzo di fiori e nel frattempo tiravano fuori un coniglio dal cilindro.
Avete fatto un buon lavoro, e come al solito NO DIRITTI>GENTE CHE LOTTA E MUORE>OTTENGO I DIRITTI>GENTE CHE LI DA PER SCONTATI>DITTATURA REPUBBLICANA>GENTE CHE LOTTA E MUORE…. la storia e ciclica, e fatevi un idea vostra invece di fare le pecore.
non sono ne un professore, ne un geologo e neanche un biologo, sono solo uno che come tanti altri ama il mare. Ho letto un pò tutte le opinioni e le varie considerazioni che si sono fatte su questo referendum e non sono assolutamente d’accordo con Lei prof. Calcara per vari semplici motivi:
1) le piattaforme sono sempre state a rischio d’incidenti, di perdite di idrocarburi ecc., ed il mediterraneo è un mare chiuso, per cui anche se le piattaforme utilizzate per il prelievo di idrocarburi non sono tante, basta anche un piccolo sversamento per creare notevoli problemi d’inquinamento;
2) I giacimenti vengono cercati tramite le prospezioni. Per chi non lo sa le prospezioni non sono altro che onde sismiche artificiali con le quali i geologi possono capire, dall’onda di ritorno, che materiali vi sono sotto il sottosuolo. Numerosi studi scientifici dimostrano che a causa di queste indagini gli animali marini possono essere allontanati dal proprio habitat, cambiare il proprio comportamento, comunicare con maggiore difficoltà, subire elevati livelli di stress e, se si trovano vicino alla sorgente del rumore, incorrere in danni all’udito. Tali effetti sono stati documentati sui mammiferi marini, ma anche su pesci e invertebrati, quindi l’intera rete trofica potrebbe risultarne influenzata.
3) l’area a sud di marinella di selinunte fino a porto empedocle non è altro che una vasta area disseminata di vulcani, la zona viene chiamata “banco terribile” (chissà perchè) ed i limiti sono ad ovest il vulcano conosciuto come “isola ferdinandea” e ad est il vulcano “empedocle”, ed anche se i geologi dicono il contrario io non disturberei tanto questi giganti che dormono.
4) siamo in sicilia terra del sole, del vento, dove le attività geofisiche sono elevate e le correnti marine sono forti. Possibile che questa politica attuale non favorisce lo sfruttamento di queste fonti inesauribili e pulite d’energia.lasciando stare l’eolico, che è un pò troppo invasivo, noi abbiamo tutte le potenzialità per poter avere tutta l’energia che vogliamo, per cui il nostro caro primo ministro si vada a cercare il petrolio a casa sua che noi le nostri fonti di energia le abbiamo.
5) ultima considerazione, la vera democrazia sta nel votare non nell’astenersi. ed un primo ministro e un ex presidente della repubblica dovrebbero avere più rispetto per gli italiani e non approfittare della loro privilegiata posizione per dire agli italiani di non votare (poi scusi la mia ignoranza, ma non è anticostituzionale esortare la gente a non andare a votare??).
Avrei tanto altro da dire, ma già mi sono prolungato troppo e rischio di andare fuori tema. La saluto
professore Calcara, in merito a quanto letto non posso non dire la mia. Io sono andata a votare basandomi su quello che ho potuto leggere e facendomi, successivamente,una mia idea. Non appello la mia decisione a nessun articolo costituzionale, ma semplicemente al mio senso civico e, soprattutto, al mio senso di dovere nei confronti di chi in passato si è fatto ammazzare affinchè io oggi possa esprimere il mio parere,possa mettere una crocetta su quei fogli, un senso che in quanto donna mi preme ancor di più. L’astenzione purtroppo è frutto di una mala gestione e di una mala organizzazione, ma soprattutto di una mala politica. Ed è per questo che io voto, perchè dirò sempre la mia opinione , perchè discuterò sempre di ciò che riguarda il mio paese, perchè almeno io , giusto o sbagliato che sia , darò il mio contributo; la rassegnazione non mi appartiene.
1) “Fondamentalmente Metano” non significa “tutte Metano”. Non si capisce perché dobbiamo tenere a mare dei mostri di ferro davanti le coste, qualsiasi cosa tirino fuori dal sottosuolo. Vorrei vedere se ce ne fosse piazzata una davanti la collina dell’Acropoli di Selinunte, sai che bel vedere.
2) “la vittoria del Sì avrebbe portato comunque alla costruzione di altri impianti”. Ha vinto l’astensione, qualcuno gli vieterà ugualmente di costruire altre piattaforme?
3) “La vittoria del Sì non avrebbe scongiurato alcun rischio ambientale, anzi, avrebbe contribuito ad aumentare l’export petrolifero e quindi anche l’inquinamento”. Semplicemente da qui al 2034 avremmo avuto oltre 40 problemi in meno nei nostri mari e in punti anche vicinissimi alla costa. Un disastro è differente se accade a 1 miglio e mezzo dalla costa invece che 30.
4) “La vittoria del Sì non si sarebbe tradotta in una politica immediata a favore delle energie rinnovabili che a conti fatti da sole non possono ancora bastare”. Proprio perché le concessioni sarebbero terminate nel 2034, c’era tutto il tempo di sostituire il fossile con l’alternativo, anche perché parliamo di percentuali minime del fabbisogno nazionale.
5) “Il referendum era uno strumento inadeguato, faceva leva sulla disinformazione dei cittadini e sulla cattiva immagine che una trivella ha nell’immaginario comune.” Già, non vorremmo distruggere la buona immagine delle trivelle, magari ne piazziamo una alla foce del Belice, può essere un’attrattiva, forse finalmente ci sarebbe un “boom” di turisti.
6) “Non è vero che la presenza degli impianti abbia ostacolato il turismo…”. Davanti a Rimini e Riccione non c’è una piattaforma, quelle sono davanti a Ravenna e Comacchio, e sulla costa romagnola l’ultimo pensiero è il mare, anche perché è stato sempre di un colore indefinibile. La Basilicata ha il più basso tasso di densità turistica del meridione (densità, e non ho usato numero per farmi rispondere che è piccola e ha poca costa).
7) “…e non è vero neanche che l’estrazione di combustibili dal sottosuolo può innescare terremoti”. Su questo possiamo concordare, anche se mi voglio lasciare il dubbio che – dipende dal luogo –
8) “La vittoria del Sì avrebbe contribuito allo sfruttamento dei paesi in via di sviluppo – Metano che le compagnie si dovranno andare a cercare da qualche altra parte e che ci venderanno (a costi più cari, ma questa è un’altra storia che ricorda tanto quello che successe per il nucleare).” Quindi con la vittoria del No (o astensione) i paesi in via di sviluppo saranno lasciati in pace e non verranno sfruttati. Quindi per il fabbisogno del 3% italiano in dismissione lenta fino a tutto il 2034 farà in modo di fermare le assetate multinazionali. così finalmente non si dovrà cercare metano altrove, come se le aziende che estraggono fossili nei nostri mari ce lo regalano. Si dice che siamo il primo paese in Europa per produzione di energia alternativa, professore, perché dovremmo cambiare abitudini? Lei le ha cambiate con tutta questa energia alternativa subentrata? c’è molta gente che usa auto elettriche, usa mezzi pubblici, va a piedi o in bicicletta. Perché non farlo tutti? perché arrendersi? Un po’ di sano risparmio, un po’ di sana decrescita, ma davvero non è possibile attuarla? In Olanda dal 2025 non saranno più vendute auto a benzina, ha, per caso, assistito a scene di rivolta o di suicidi di massa nei Paesi Bassi? Nessuno ha fretta, ma sarebbe stato un piccolo passo in avanti. E poi, perché rischiare anche minimamente su queste oltre 40 piattaforme che allo Stato Italiano non rendono niente?
A proposito del lavoro, le volevo solo segnalare che gli addetti sulle piattaforme fino a 12 miglia, secondo FIOM sono un centinaio, perché alcune di queste sono comandate a distanza, come quella di fronte Gela. Alcuni pensionabili (visto che alcune concessioni arrivano fino al 2034), altri facilmente ricollocabili da multinazionali con migliaia di lavoratori.
11.000 circa sono gli addetti di tutte le trivelle, a mare e a terra.
Tano C. quello che scrive Maria Rosaria è inerente, eccome.
Avendo a disposizione una franchigia sull’estrazione e ora un tempo indefinito per estrarre, secondo lei avranno fretta di estrarre e pagare royalty o estrarranno annualmente fino a limite di franchigia?
La risposta è semplice, no?
Le osservazioni del Prof. Calcara parrebbero pertinenti, ineccepibili sotto l’aspetto formale. Ma se ad esse applicassimo il canone della ragion pura anche il rigore formale verrebbe meno, lasciando trasparire troppe superficialità.
Infatti è innegabile quale fosse il significato superiore del Referendum, rivolto non tanto al senso della politica energetica, condivisibile negli anni ’80, assai meno oggi con prospettive future ormai realistiche circa l’orizzonte delle rinnovabili. Sulle trivelle lascerei la competenza a Belen ed altre colleghe parlamentari.
Io la penso come il prof. Tusa, sottolineando che l’oro della Sicilia si chiama cultura e turismo, ma questo è un rigurgito di rabbioso romanticismo.
Ora avrei molta curiosità su quale potrebbe essere la scelta del nostro prof. nel prossimo appuntato referendario, se egli preferirà al mattarellum o al porcellum il renzellum. Certo, della Costituzione non è rimasto nulla, saccheggiata in tutti i suoi principi da uomini barbari. Fu figlia della tragedia bellica, scritta da uomini ricchi solo di grandi Idee, proprio come il ghibellin fuggiasco. Oggi a tutti, compreso Lei, è stato sottratto il diritto di scegliere il proprio rappresentante. Saranno altri che sceglieranno chi farLe scegliere. Si tratta di una grande conquista? Io continuerò a dissentire, immaginando che ci possa essere altro oltre le trivelle.
Baldo Graffagnino
Finito il dibattito.
Genova, l’onda nera del Polcevera rompe gli argini e va verso il mare.
Fortunatamente a Genova, perché in Italia difficilmente succedono queste cose.
“..soliti maestrini che altro non sanno fare se non copiare siti e sfornarli a commento”
Certo che questa, a parte ad essere un touch offensiva, detta da chi (per professione?) cita greci morti da duemila anni è proprio forte ;-)
Ma meno male che c’è la rete che da voce a ben altri FENOMENI.
Stufe a pellet sarebbero ecologiche? Auto con batterie elettriche sarebbero ecologiche? La verità è ben altra, si passa da una forma di consumo all’altra per tenere in piedi il capitalismo, forse con questo alcuni intendono “alternativa”.
Condivido quasi tutti i post, p. es. quello del Prof. Antonino Leone ;-)