Si tratta della Fimepo, gli uffici sono in una strada centrale della città, in via Osorio, a pochi metri dall’ingresso del Palazzo di Giustizia. Con Matteo Messina Denaro, oltre ai titolari della finanziaria, la Fimepo, c’è anche Antonio D’Alì, non è ancora diventato senatore all’epoca, ma è certamente uno che conta in città.
La riunione è raccontata da un pentito, Giovanni Ingrasciotta che accompagnò Matteo Messina denaro da Castelvetrano, la sua città, a Trapani. Nessuno ancora lo sapeva, ma la notizia era già conosciuta al giovane rampollo della più importante famiglia mafiosa trapanese, quella finanziaria stava rischiando il crac, e la cosa avrebbe reso povera, come avvenne, tanta gente, ignari risparmiatori che allettati da offerte di guadagni superiori a quelli garantiti dalle banche, avevano affidato alla Fimepo i loro averi.
Certamente Matteo Messina Denaro non si trovava lì per una “difesa sociale”, niente affatto, racconta Ingrasciotta, in un verbale di una decina di pagine, firmato dopo avere risposto alle domande del pm Andrea Tarondo, che in quella finanziaria c’erano anche i soldi, tanti soldi dei Messina Denaro, e quel denaro non lo volevano perdere o comunque dovevano far capire che a loro quella truffa non poteva essere fatta. Truffare i Messina Denaro significava andare incontro a morte certa, ma i D’Ambra, Salvatore e Lucio, padre e figlio, titolari della finanziaria, riuscirono a salvarsi, Matteo Messina Denaro quei soldi sarebbe riuscito a recuperarli, grazie alla garanzia che a favore dei proprietari della finanziaria sarebbe stata portata personalmente dal senatore D’Alì. Tanto che quando Matteo Messina denaro fece per andarsene, Ingrasciotta ricorda che mosse un segno verso D’Ambra senior, come per dire stavolta vi siete salvati.
Il verbale oggi ha fatto ingresso nel processo che con il rito abbreviato si svolge a Palermo e dove il senatore D’Alì, assente all’udienza, è accusato di concorso esterno in associazione mafiosa, proprio per via dei rapporti, non di vittima come dice lui, ma di estrema complicità che avrebbe avuto con i suoi campieri, don Ciccio e don Matteo Messina Denaro, i padrini della mafia del Belice.
Rapporti cresciuti nel tempo, appoggi che Matteo Messina Denaro ha usato per diventare oggi il capo di una vera e propria holding del crimine, con le mani sporche del sangue di tanti morti ammazzati oggi guida diverse società imprenditoriali, quelle fino ad ora confiscate rappresentano solo la punta dell’iceberg, società nei settori dell’edilizia, del commercio, del turismo. Il pm Tarondo ha chiesto al giudice di potere sentire in aula Ingrasciotta, la decisione verrà presa il 30 novembre prossimo alla ripresa del dibattimento. In quel verbale Ingrasciotta (che nel 1996 doveva essere ucciso per ordine di Messina Denaro ma al suo posto morì uno dei sicari, Giuseppe Panicola, ammazzato per errore dal padre, Vito, un politico, consigliere provinciale della Dc, che aveva ricevuto l’ordine di eseguire dai Messina Denaro quella sentenza di morte, direttamente dal patriarca Francesco che era il suo consuocero) racconta anche del sostegno elettorale che la mafia garantì a D’Alì al suo esordio in politica nel 1994, tra i particolari riferiti quello che addirittura i boss avevano incaricato alcune persone di presidiare cartelloni elettorali per evitare che i manifesti del candidato D’Alì potessero essere coperti da altri.
autore. Rino Giacalone
per www.malitalia.it
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Ci piace sottolineare che in questo procedimento giudiziario Libera si è costituita parte civile e come dice don Ciotti:
“Il lavoro di Libera è innanzitutto quello di cogliere e portare in mezzo alla gente, anche nelle aule dei Tribunali, l'addolorato grido di dolore dei familiari delle vittime delle mafie che pretendono il rispetto del "bisogno" di giustizia e verità che appartiene anche a tutti "Noi". In un processo dove emerge il presunto tentativo di un indagato, il senatore Antonio D'Alì, di rendere vana la legge sui beni confiscati alle mafie, Libera, che ha raccolto 1 milione di firme per la tutela e l'applicazione di una legge importante e fondamentale, nell'unico interesse della società civile responsabile, non potevamo non costituirsi parte civile per potere meglio conoscere la storia della mafia nella terra del latitante Matteo Messina Denaro, le cui mani, sporche del sangue di tanti morti ammazzati, oggi muovono i fili di una parte dell'economia, di imprese e sono capaci di intaccare il consenso elettorale per le connessioni coltivate da quella che in provincia di Trapani, e non solo, si chiama mafia borghese”.
libera si interessi del rione belvedere..tanto i bidoni li abbiamo noi e non le zone pupille..
anche io mi voglio costituire parte civile... vivo in questo paese dove per vivere bisogna emigrare, dove se non sei parente/amico di quello o quell'altro non ti fanno fare un cavolo!
Proporrei a LIBERA CASTELVETRANO di occuparsi del rione belvedere e la signora anna di contrastare le mafie.
Sempre con LIBERA!
già denunziando su questo blog ,lotto per la mia zona....libera io la vedo solo da poco...ma certe persone,personalmente non mi piacciono...a campobello si presenta denunce in pochi giorni ,per il mio rione dopo mesi,, se la chiamate giustizia questa....il percolato di campobello non è meno pericoloso del mercurio del belvedere....non facciamo la guerra dei poveri...la salute è per tutti...