Rosario Livatino è stato proclamato Beato dalla Chiesa. La cerimonia si è svolta nella Cattedrale di Agrigento, dove è stata esposta una reliquia del giudice: la camicia sporca di sangue. Livatino, originario di Canicattì, è stato ucciso il 21 settembre 1990 da quattro killer della Stidda. Un magistrato schivo e riservato, che ogni mattina prima di recarsi al Palazzo di Giustizia di Agrigento, si raccoglieva in preghiera nella vicina chiesa di San Giuseppe. Una fede testimoniata anche da un altro “segreto”.
Era l’acronimo “STD” che il magistrato scriveva su appunti, documenti, quaderni. Gli investigatori faticarono per decodificarlo. Alla fine si scoprì che si trattava di un costante affidamento che Livatino faceva a Dio: le tre lettere stavano per “Sub Tutela Dei” (sotto la protezione del Signore). Per i mafiosi era il “santocchio”. Oggi la Chiesa lo ha proclamato Beato, riconoscendo il suo martirio avvenuto “in odio della fede”.
La reliquia
Ma chi era Livatino? Negli anni ’80 diventa sostituto procuratore ad Agrigento ed entra a far parte del pool coordinato dal Capo Elio Spallitta. Sono state sue le indagini su alcune famiglie agrigentine legate alla mafia. Come le famiglie Caruana e Cuntrera, partite con la valigia di cartone da Siculiana, un piccolo paese della provincia, per il Venezuela e il Canada e diventate in pochi anni i più importanti broker del narcotraffico internazionale.
Rosario Livatino coniugava fede e professione, difendendo il ruolo e l’indipendenza della figura del magistrato. Livatino era di poche parole, molto riservato e schivo: «Oggi vale l’eredità che il ‘giudice ragazzino’ con la sua vita e la sua morte ci consegna: la credibilità, la fiducia nelle istituzioni, la speranza in uno Stato capace di smantellare la cultura mafiosa», ha commentato il pubblico ministero Gaetano Paci, anche lui originario di Canicattì, oggi Procuratore aggiunto a Reggio Calabria.