Perchè si vogliono separare le carriere?
La risposta è quasi sempre la stessa: perché il ruolo della pubblica accusa e quello del giudice non possono essere intercambiabili.
Ma alla base dell’equivoco c’è il termine “accusa” che viene simmetricamente contrapposto ad un altro, “la difesa”, mentre il giudice è considerata la sola istituzione giudicante.
Il ruolo del pubblico ministero però non si limita certo a sostenere l’accusa, a differenza invece dell’avvocato difensore che sostiene appunto la difesa.
Da sempre siamo abituati a vedere in tv (e non solo) il classico processo in cui, dopo la parola dell’accusa e quella della difesa, con le relative fasi dibattimentali, il giudice valuta ed emette una sentenza.
Ma siamo sicuri che il pubblico ministero e l’avvocato della difesa siano sullo stesso piano?
Se lo fossero davvero, vorrebbe dire che entrambi sarebbero chiamati ad occuparsi di un imputato che si trova davanti al giudice per aver commesso un reato (o presunto tale). L’uno focalizzerebbe il proprio impegno sulla difesa e l’altro sull’accusa.
Ma come ha fatto l’indagato a ritrovarsi davanti al giudice? Chi ha indagato su di lui prima che finisse davanti alla corte?
Forse è meglio partire da un esempio concreto.
Mettiamo che la mia auto vada in fiamme durante la notte ed io il giorno dopo, rivedendo le registrazioni di una telecamera di sorveglianza, mi accorgo di un tizio che armeggia intorno alla macchina, versa del liquido e lancia un cerino. Magari lo riconosco dal giubbotto che porta, per averlo visto salire il giorno prima su una particolare auto sportiva, decisamente poco diffusa nella mia città.
Dopo aver denunciato la cosa agli organi competenti e aver fornito loro alcuni elementi a suffragio dei miei sospetti, il tutto va a finire sul tavolo del PM.
Il PM riorganizza le prove da me fornite, ne raccoglie delle altre, si serve delle forze dell’ordine per eventuali interrogatori, cerca testimonianze, con lo scopo di ricostruire e di accertare ciò che è successo. Per esempio potrebbe rintracciare egli stesso il tipo col giubbotto, interrogarlo per valutare il suo eventuale alibi e magari scagionarlo (non si può essere identificati solo attraverso un giubbotto).
Alla fine, in base agli elementi di prova, il PM valuterà se l’indagato è innocente, e allora chiederà egli stesso al GIP l’archiviazione, oppure, se è colpevole, deciderà il rinvio a giudizio. Rinvio a giudizio che può passare nuovamente dal vaglio del GIP, proprio a maggiore garanzia dell’imputato.
A questo punto diventa chiaro che il compito del PM non è solo quello di rappresentare l’accusa in un processo, ma soprattutto di ricostruire la verità e decidere (giudicare) se l’indagato deve essere sottoposto a processo oppure no. Insomma, è lì per raccogliere elementi, testimonianze, valutare e tirare le somme. A conti fatti quindi fa più o meno le stesse cose che fa il giudice (almeno come approccio).
Nel caso della mia macchina in fiamme poi, se dovesse riconoscere che il tipo col giubbotto non c’entra niente, cercherebbe altrove il responsabile. In ogni caso io non lo pagherò per il suo lavoro, come invece farà (se può permetterselo) il potenziale attentatore col suo avvocato. Al massimo io pagherò (se posso permettermelo) un altro avvocato, cosiddetto di “parte civile”, per chiedere un risarcimento del danno.
Qualcuno ha anche detto: è bene separare le carriere perchè giudici e PM, facendo parte della stessa categoria, magari vanno a cena insieme, per cui la corte è portata a confermare le tesi del PM a discapito della difesa.
Questo qualcuno però dimentica che il tavolo del ristorante potrebbe ospitare anche dei giudici di corte d’appello o di cassazione. Nessuno però si è preoccupato di separare anche quelle carriere, così come nessuno si è preoccupato di separare la carriera dell’avvocato della difesa da quella dell’avvocato di parte civile.
Ma allora perché ci si è focalizzati solo sul PM?
Semplice: è il PM che decide chi rinviare a giudizio e chi no. E soprattutto è lui che dà l’avvio alle indagini.
Con la separazione delle carriere il PM verrebbe sottratto al potere giudiziario e assoggettato ad un altro potere: quello politico. Esecutivo, per la precisione. Insomma, dipenderebbe dal Governo, rispondendo in modo diretto al ministro della giustizia (di destra o di sinistra, a seconda del momento). A questo punto, con un decreto legge, il governo potrebbe decidere le priorità dei processi, quali svolgere prima e quali dopo, oltre ovviamente a decidere quali PM trasferire e quali promuovere.
Se poi si realizzasse il sogno di Berlusconi di eliminare l’obbligatorietà dell’azione penale, il cerchio si chiuderebbe, regalando alle maggioranze politiche un’impunità che funzionerebbe più di qualunque lodo.
Inoltre, se si reintroducesse l’immunità parlamentare, anche i politici d’opposizione nei guai con la giustizia potrebbero avere qualche speranza in più rispetto ad oggi. E nel caso in cui non dovesse funzionare, si potrebbe proporre a chi è “in difficoltà” di traghettare tra le file della maggioranza dove, anche in caso di autorizzazione a procedere, si potrebbe contare su un PM proprio dipendente, che magari decide che il processo non s’ha da fare… né domani, né mai.
Da quel momento diminuirebbe anche il numero dei parlamentari condannati e perfino quello dei politici indagati. Insomma, per non finire in galera non ci sarebbe più bisogno di fare le leggi ad personam, perché verrebbero egregiamente sostituite da un PM ad gubernum. Perché continuare a perdere tempo con prescrizioni, ricorsi, corti di appello, cassazione, depenalizzazione di reati e lodi vari? Con la separazione delle carriere il governo avrebbe il controllo dei PM e a decidere gli indagati ci penserebbe il presidente del consiglio, mentre noi continuiamo a pensare alle cene tra i giudici.
Egidio Morici
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