In Sicilia, ad iniziare dagli anni ’50 circa, abbiamo assistito, nel volgere di pochi decenni, al tramonto della civiltà contadina arcaica, imperniata direttamente o indirettamente sul lavoro della terra e dei suoi prodotti, ed al sorgere di una civiltà oltremodo meccanizzata, computerizzata, raffinata, mirante al benessere e al consumismo.
Per la classe più umile della popolazione, prima di tale data, a causa dell’analfabetismo, la divulgazione della cultura era affidata ai nonni, sempre presenti nelle famiglie di allora. Questi vecchi patriarchi, in mancanza delle lunghe telenovele televisive, con tanta pazienza e amore, durante l’inverno, seduti attorno al braciere con la carbonella accesa, raccontavano ai numerosi nipotini “li cuntura” (le favole); si trattava di una letteratura orale, tramandata da padre in figlio.
Detti racconti, sono la spiegazione di fenomeni naturali, la trasposizione di fatti reali in miti e leggende, rappresentano un filone letterario dove, fra realtà e fantasia, si cerca di recuperare parte di libertà ed orgoglio perduti ed umiliati durante i lunghi secoli d’asservimento ai dominatori stranieri. Essi evidenziano doti e ricchezze interiori che non costano nulla, come la furbizia del semplice contadino analfabeta, che riesce a prendere in giro anche il diavolo e la morte. E’ sott’inteso che i racconti si recitavano nel puro dialetto dei nostri padri. I personaggi principali dei cuntura erano re, regine, principesse sempre bellissime, che abitavano in enormi castelli incantati, a contorno c’erano maghi, streghe, draghi, orchi, lupi, foreste.
La storia dei Paladini di Francia, opportunamente trasformata in favola, era un altro filone letterario di racconti. Gli adulti seguivano molto le gesta di questi eroi, tramite i teatrini dei “pupi” ed il canto dai cantastorie.Dopo decenni d’abbandono, oggi si cerca di recuperare la nostra passata civiltà, assieme alla lingua siciliana, con cui viveva in simbiosi. Per raggiungere tale obbiettivo, l’UNESCO, ha riconosciuto le “Eredità Immateriali” come un patrimonio inestimabile legate alla tradizione. Inoltre, presso l’Assessorato dei Beni Culturali, Ambientali e della Pubblica Istruzione della Regione Siciliana si è istituito il Registro delle Eredità Immateriali di Sicilia (REI), che rappresenta uno strumento per valorizzare la nostra cultura. Fanno parte di questo patrimonio: il linguaggio, il teatro, i canti popolari, le feste paesane, certi lavori artigianali, il teatro dei “pupi”. Purtroppo, alcune delle tradizioni più antiche trasmesse oralmente da padre in figlio sono, in molti casi, ancora patrimonio di pochi anziani dell’isola. Non avendo lasciato indicazioni scritte, essi diventano preziosi detentori involontari di un sapere destinato a scomparire, perchè solo loro possono tramandare.
Come persona di una certa età, nata durante la civiltà contadina, carica di ricordi e di documentazioni, voglio dare anch’io un modesto contributo alla nobile opera di ricerca e rivalutazione della lingua siciliana e della passata cultura. A tale scopo ho già scritto una raccolta d’argomenti su usi e costumi scomparsi, diversi vocaboli oggi non più in uso, proverbi, frasi idiomatiche e racconti, un mio piccolo museo della memoria sulla nostra Sicilia. Per quanto riguarda la narrativa, ho tratto una parte del materiale dai racconti di mia nonna, che ascoltavo con vera passione, quando ero ancora bambino. Si tratta di un genere letterario la cui origine si perde nella notte dei tempi. Per renderli più originali possibili ho usato frasi idiomatiche e vocaboli di una volta, che oggi sono quasi scomparsi dalla parlata comune. Altri “cuntura” sono arguti fatterelli, dove si mette in ridicolo qualche personaggio o sistema di vita d’altri tempi, che ho sentito raccontare recentemente da anziani contadini.
Gli ultimi racconti sono, invece, la trascrizione di ricordi d’infanzia e riflessioni personali interiori, maturati nel corso dei miei lunghi anni. Complessivamente si tratta di 120 cuntura inediti, scritti direttamente in lingua siciliana e senza pretese letterarie, che, a mio giudizio, fanno rivivere la scomparsa civiltà contadina, semplice, povera, fatta di duro lavoro ma ricchissima di valori umani. Questi racconti sarebbero scomparsi assieme al loro detentore, se non fossero stati scritti. Alcuni dei probabili lettori, miei coetanei, avranno già sentito raccontare queste storielle; sono sicuro che anche loro sentiranno una stretta al cuore, poiché si ricorderanno della loro nonna, e degli anni scomparsi nel nulla; ricordi lontani nel tempo, ma indelebili nel cuore e nella mente, che riempiono l’animo di profonda nostalgia. “Si cunta e si raccunta e si secuta a raccunrari chi ‘na vota c’era…” Così ancora mi risuona nella mente la voce di mia nonna. Tutti i racconti, infatti, incominciavano sempre in questo modo.
(Vito Marino)
AUTORE. Vito Marino
Carissimu Vitu, di pirsuni comu a tia ci ni vulissi chiossai, pi ‘un perdiri sta granni putenza di ricchizza chi ni lassaru i nostri nanni. Ti fazzu li me’ prositi pi chiddu chi facisti picchì accussì ci ponnu essiri di ddì genti curiusi chi s’appassionanu a lu nostru parlari anticu.
A Castedduvitranu canusciu a quarcarunu e si mi manni lu to nummaru di tilifuninu a la prossima vota chi vegnu ti vogghiu canusciri. Fatti a sentiri, mi piaci chiddu chi fai e ti vogghiu dari na manu a fariti canusciri. ‘U Signuri t’ava a dari 100 anni di saluti. A ss’ha binirica.
Vitu Brunna 333.1477722